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										Quinta intervista ai redattori precari milanesi. Si autonarra una lei che lavora come grafico pubblicitario. Rispetto alla formazione umanistica di partenza l’impiego di oggi c’entra poco o niente. Ma la necessità di sopravvivere accende l’inventiva. Sempre a "scadenza" in quanto cocopro, abitante di un "monolocale paradossale", la nostra testimone di questa settimana pensa che forse avrebbe dovuto emigrare all’estero "come ha fatto mia cugina" 
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Sindacato ed editori hanno firmato il nuovo contratto di lavoro 
dei giornalisti italiani all’alba di venerdì 27 marzo 2009. I rinnovi 
contrattuali si firmano sempre nel cuore della notte, mentre la gente comune 
dorme e forse sogna, incosciente, inconsapevole. Questo lo si è firmato dopo 
oltre quattro anni dalla scadenza, nel cuore di una notte che si srotolava 
durante una inedita crisi economica mondiale. La prima del capitalismo 
cognitivo contemporaneo.
 
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Non c’è una lira, non c’è un diritto. Non l’aggiunta di una 
postilla, di un’appendice, di una nota. I giornalisti e le giornaliste precari 
e precarie sono stati rimossi, dimenticati. Nel nuovo contratto di lavoro, appena 
firmato, per loro non c’è spazio.
 
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										La crisi colpisce duro, la crisi 
colpisce tutti: donne e uomini, italiani e migranti. Eppure, per 
rispondere alla crisi, il governo produce e sancisce differenze. È 
razzismo istituzionale: la legge Bossi-Fini e il "pacchetto 
sicurezza" inseguono il sogno di una forza lavoro usa e getta, 
vogliono ridurre i migranti e le migranti alla perenne espellibilità. 
Tutti i lavoratori e le lavoratrici in cassa integrazione, sospesi 
dal lavoro e licenziati vedono ogni progetto di vita frantumarsi di 
fronte ai loro occhi. Tra i lavoratori, i precari con contratti a 
termine e senza garanzie sono messi alla porta per primi. Tra i 
lavoratori, i migranti vivono una doppia precarietà, sanno che il 
permesso di soggiorno non sarà rinnovato, la clandestinità è una 
minaccia più vicina, l’espulsione una possibilità sempre 
presente. Per questo è ora di scegliere DA CHE PARTE STARE.
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