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Da:
"L’unità ", mercoledì 6 dicembre 2006
(di
Giampiero Rossi) PARITà€ Le donne rappresentano oltre il 50%
dei lavoratori parasubordinati, con percentuali di periodi di
permanenza nel precariato che sono oltre il doppio di quelli dei
maschi. «I dati ci dicono che la precarietà è
donna», osserva il ministro del Lavoro, Cesare Damiano,
presentando col sottosegretario Rosa Rinaldi il progetto per l’Anno
europeo contro le discriminazioni. Il gap tra i due sessi è
molto profondo tenendo conto anche che le donne hanno un livello di
istruzione superiore. «Eppure – sottolinea Damiano – la media
delle retribuzioni delle donne è circa la metà di
quella degli uomini: se si calcola che i parasubordinati hanno un
reddito annuo di circa 14.000 euro, pari a 1.166 euro lordi mensili,
quello delle donne arriva in media a 7.000, cioè 500 euro
lordi mensili, quindi al di sotto della soglia di povertà ».A
questa situazione il governo ha cercato di porre rimedio con
l’abbattimento del cuneo fiscale che prevede maggiori vantaggi per le
imprese che assumono donne, in particolare nel Mezzogiorno.Dai dati
verificati dal ministero del Lavoro emerge che le donne, però,
pur avendo in media un titolo di studio più elevato, ricoprono
meno professioni prestigiose e, in percentuale maggiore rispetto ai
colleghi maschi, svolgono professioni senza qualifica. Una donna su
cinque fa un lavoro che richiede una formazione inferiore a quella di
cui è in possesso e le retribuzioni delle donne sono inferiori
a quelle dei colleghi uomini: il gap va da 3.800 euro per i
dipendenti a tempo indeterminato agli oltre 10.000 degli autonomi.
Gli uomini hanno in media redditi superiori rispetto a quelli delle
donne in tutte le forme contrattuali. La nascita di un figlio toglie
ancora oggi più di una donna su dieci dal mondo del lavoro. Il
40% delle donne che non lavora, lo fa per prendersi cura dei figli,
mentre il 35% è scoraggiata dall’assenza di opportunità
lavorative. Solo l’1,2% delle donne arriva ad avere 40 anni di
contributi, il 9% arriva a una contribuzione fra i 35 e i 40 anni e
ben il 52% è al di sotto dei 20 anni di contribuzione. E sul
settimanale “Rassegna sindacaleâ€, la segretaria organizzativa
della Cgil, Carla Cantone, lancia una provocazione alle gerarchie
politiche: «Uomini, lasciate le vostre poltrone».
L’invettiva nasce dalla fatto che «ogni qual volta in un
altro paese del mondo una donna sale ai massimi livelli di
responsabilità , in Italia, i leader dei partiti, della
politica e dei centri di potere si riscoprono talmente favorevoli
all’avanzata delle donne da giocare allo scavalco fra di loro su
chi promette obiettivi più grandi. Poi – scrive Cantone –
passata la festa….».
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Da: "Varesenews",
6 dicembre 2006
In genere chi possiede un
mobile Ikea non viene considerato la persona più ricca del
mondo. Certo, avrà gusto per il design, ma si sacrifica agli
dei del fai-da-te per andare al risparmio. Se però stiamo
parlando di una persona che possiede proprio Ikea, e non solo un suo
mobile, allora ci stiamo riferendo all’uomo più ricco di
tutta la Svizzera.Si chiama Ingvar Kamprad, e secondo la recente
classifica del mensile economico Bilanz, è lui l’uomo più
ricco del paese elvetico, con un patrimonio di 55miliardi di franchi
(35 miliardi di euro circa). Rispetto al 2005 Kamprad, che iniziò
vendendo fiammiferi ai vicini con la sua bicicletta, ha visto la sua
ricchezza aumentata del 14%. Secondo molti Kamprad sarebbe l’uomo
più ricco al mondo, ma Ikea nega questa asserzione anche
perché formalmente l’uomo non è più il
proprietario dell’azienda (ha dichiarato di essersi ritirato per
pagare meno tasse), e solo per questo Forbes continua a considerare
più ricco Bill Gates.Dietro Kamprad si classificano le
famiglie Oeri Hoffmann, con partecipazioni nel gruppo farmaceutico
Roche stimate a 20-21 miliardi di franchi. In Ticino, invece, i più
ricchi sono Sergio e Geo Mantegazza. La famiglia ha progettato e
diretto colossali lavori che hanno visto posare canali ed impianti di
depurazione, oltre a possedere il gruppo immobiliare Mantegazza
Albek. Il loro patrimonio è di circa 4 miliardi di
franchi.Senza dubbio in Svizzera di Paperoni non ne mancano: il
patrimonio dei 300 superricchi domiciliati in Svizzera corrisponde
all’intero Pil del paese, per una cifra record di 455 miliardi di
franchi. Per chi vuole avere certezza di quanto sia povero, ecco la
lista completa.
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Da
"L’eco di Bergamo", 7 dicembre 2006
Esselunga
pronta al poker – Ai tre negozi in città e provincia il gruppo
intende aggiungerne un quarto in pianura entro due anni Il presidente
Caprotti: «Territorio molto interessante». Aperto ieri il
nuovo punto vendita di Curno
Esselunga
mostra sempre più interesse per Bergamo. Dopo aver aperto a
metà degli anni Settanta a Curno, negli anni Novanta a
Bergamo-via Corridoni e l’anno scorso a Nembro (dove c’è
interesse per un futuro ampliamento), si prepara a far poker con un
quarto «superstore» in provincia.«La provincia di
Bergamo è molto interessante: pensiamo di fare qualcos’altro
in futuro – ha dichiarato il presidente del gruppo Bernardo Caprotti,
ieri a Curno per l’apertura della «nuova» Esselunga -.
Avevamo pensato a Clusone, ma abbiamo incontrato problemi logistici.
Noi puntiamo molto sul fresco, il 50% delle nostre vendite riguarda
questi prodotti, e la consegna giornaliera in valle risulterebbe
problematica. Faremo quindi qualcosa nella zona della pianura
nell’arco di due anni: la costruzione dovrebbe iniziare l’anno
prossimo».Per Caprotti l’esperienza di Curno è stata
molto positiva. «La prima volta che siamo venuti a Curno, nel
1972, qui non c’era niente: adesso, lo dimostra anche la strada, la
situazione è cambiata» – commenta -. Molto del resto è
cambiato e siamo felici di avere potuto compiere questa
trasformazione del punto vendita. Prima a Curno avevamo 1.500 metri
quadrati e un’impostazione ancora anni Settanta. Non male data
l’epoca, considerato che c’era anche il reparto gastronomia (il primo
«banco», innovazione del gruppo, è stato aperto
nel 1974 a Milano NdR). Adesso però con uno spazio di 3.900
metri quadrati possiamo dare una migliore risposta alla
clientela».Quella di Curno non è una nuova apertura,
perché contestualmente è stato chiuso il vecchio
negozio.
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Da: "La stampa",
martedì 12 dicembre 2006
Graziana detesta il
Natale: «Tutto questa melassa sulle famiglie mi dà
fastidio mentre io e mio marito non ci vediamo quasi più.
Stiamo sempre all’iper e alla fine siamo così stanchi e
frastornati che non abbiamo neanche voglia di comprarli i regali per
noi. E forse è anche meglio così perché tanto
soldi ce ne sono pochi». Ha trent’anni, uno stipendio di 450
euro al mese. E dice: «Il cognome no, perché non c’è
un bel clima nell’ipermercato dove lavoro, non ti devi mai
lamentare. Devi essere soddisfatta di quei pochi euro, di cambiare
gli orari quando gli fa comodo». E’ cassiera e ha un
contratto part-time da 16 ore alla settimana. Racconta: «Da me
ci sono anche gli studenti che hanno il tempo parziale verticale
tutto concentrato nei weekend, ma loro sono ragazzi, lo fanno solo
per guadagnare qualcosa. Ma noi, e siamo tante, così ci
dobbiamo campare». Graziana ha un marito che è anche un
collega: «Lui è di quelli che vanno all’iper all’alba,
alle cinque, per rifornire gli scaffali. Abitiamo lontano e si alza
alle quattro meno un quarto. Io a quell’ora dormo, non ci salutiamo
neppure». Poi il marito fa un secondo lavoro. «Per forza,
altrimenti non si mangia: così ai 400 euro dell’iper ne
somma altri 5-600. Al pomeriggio vende attrezzi sportivi in un
grandissimo negozio, sempre a mezzo tempo. Torna alle otto-otto e
mezza morto di stanchezza». Ma spesso Graziana non è in
casa perché fa il turno dalle 19 alle 22 e così «per
quel giorno tanti messaggini sul cellulare e arrivederci». Poi
arriva il Natale: «Per noi è la fine: scoprono
improvvisamente che sono fondamentale e mi fanno lavorare ogni
domenica. E anche durante la settimana il mio orario lievita e
cambia. I miei genitori erano operai e hanno sempre fatto i turni.
Però almeno sapevano quando entravano, quando uscivano, quale
settimana il primo turno, quale il secondo. Non era bello, però
potevano organizzarsi. Noi no». Graziana ha un pallino: «Mi
piacerebbe che chi compera, ha fretta e magari si lamenta perché
è in coda alla cassa, sapesse che noi facciamo una vita dura».
Adesso lei sta in cassa almeno sei ore al giorno, il marito allunga
l’orario, le domeniche «ci vengono prese e senza un euro in
più; io ho recuperato stando a casa mercoledì, Walter
invece il lunedì». E ha una certezza: «Sono quasi
dieci anni che va così, non credo che cambierà mai. Il
prossimo Natale sarò ancora qua con le testa gonfia per il
rumore»
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Da: "La stampa",
martedì 12 dicembre 2006
Domenica maledetta
domenica. Per i dipendenti del commercio, inchiodati dietro i banchi
o alle casse, il periodo natalizio è un delirio. La segretaria
della Filcams Cgil, Elena Ferro, che conosce i tanti problemi di una
categoria molto debole sul mercato del lavoro, polemizza: «Da
alcuni anni la tendenza è a tenere aperto il più
possibile. Passi il periodo natalizio, ma la legge Bersani ha
praticamente reso libere le aperture domenicali. Basti pensare che a
Piossasco, che si autodefinisce comune turistico, si può
aprire ogni domenica mentre a Torino sono concordate 14 aperture».
E aggiunge: «Per quale ragione la domenica non si può
andare alla posta e in banca, sono chiuse le sale operatorie e le
piscine, ma di deve poter comprare la toma o le calze?». Poi
racconta dei mille contratti della categoria: «Nella grande
distribuzione sopravvivono pochi contratti classici: 40 ore dal
lunedì al sabato, la domenica se si lavora si prende il doppio
o quanto contrattato negli integrativi. Ormai nei nuovi contratti è
previsto che si lavori da lunedì a domenica con un riposo
durante la settimana e la domenica pagata come ogni altro giorno. E
crescono i part time da 16, massimo 20 ore sparpagliate nel corso
della giornata a seconda delle esigenze. Le aziende preferiscono i
part time perchè un orario di 8 ore non può diminuire,
ma uno di 4 può aumentare a seconda delle esigenze; e costa
meno». Ferro dice che la situazione dovrà essere
discussa nel rinnovo del contratto del commercio: «C’è
chi lavora un giorno due, un giorno quattro, un giorno 6 ore. Alcuni
cominciano alle 5 del mattino, alzandosi alle 4, per riempire gli
scaffali; finiscono alle 9 o alle 10. E ci sono quelli che invece
lavorano dalle 20 alle 22 o dalle 19 alle 22. Tutto questo per 400
euro medi al mese». Adesso il Natale con il suo shopping
compulsivo aumenta lo stress dei lavoratori: «I grandi
magazzini non si fermano mai e sono aperti anche il 24 e il 31. Poi
ci sarà l’inventario, poi i saldi. Si faranno straordinari,
ma in molte aziende non verranno pagati, ma fatti recuperare qualdo
le vendite calano»
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