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										(di Pietro Ancona) Il 16 ottobre la classe operaia italiana ha dato vita ad una delle più grandi manifestazioni 
 degli ultimi anni paragonabile soltanto a quella organizzata dalla CGIL  di Cofferati in difesa dell’art.18 durante il governo D’Alema nel 2002.  Lavoro, diritti e democrazia sono state al centro della mobilitazione   suscitata dagli attacchi anche sul piano morale che la destra al governo  e la Confindustria hanno portato alla condizione salariale  e giuridica  dei lavoratori. Il retroterra della manifestazione è stato costituito  da centinaia e centinaia di scioperi ed agitazioni legate ai  licenziamenti nella scuola e nelle industria. I lavoratori sono stati  tacciati dai lividi ministri del governo Berlusconi come “fannulloni” e  la stessa signora Marcegaglia si è unita ai  latrati  ingiuriando a suo  volta, assieme a Marchionne ed altri illustri capitani d’industria, i  lavoratori. Esemplare al riguardo la reazione di Marchionne deluso dai  risultati del referendum di Pomigliano che avrebbe voluto plebiscitari.  Non si aspettava che difronte al suo ricatto il quaranta per cento delle  maestranze avrebbe risposto di no e si è lasciato andare a violenze  verbali contro gli irresponsabili che non capiscono la grande modernità  delle sue idee! 
 La “piazza” del 16 ottobre ha chiesto a gran voce lo sciopero  generale. La risposta di Epifani è stata reticente e scoraggiante: lo  sciopero si farà se le risposte del governo saranno insufficienti! Non  si capisce di quale risposte parli dal momento che non esistono  richieste della CGIL tranne quella di una manciata di spiccioli e di una  tantum per il fisco. 
 In ogni caso non sarà la scelta dello sciopero generale in sè che  deciderà. Altri tre scioperi generali sono stati indetti e realizzati  dalla CGIL durante gli ultimi due anni con richieste 
 insignificanti al governo e nessuna al padronato italiano! Bisognerebbe  che la CGIL decidesse di affrontare  alcune  fondamentali questioni con  rivendicazioni precise. Abrogazione della legge Biagi, abrogazione delle  leggi sulle pensioni a cominciare dalla legge Dini, restituzione alla  scuola degli otto miliardi sottratti dalla Gelmini, aumento  generalizzato dei salari, istituzione del Salario Minimo Garantito. Ma  la CGIL  se farà uno sciopero generale si limiterà a chiedere assieme  alla Confindustria una politica economica più adatta a fronteggiare la  crisi e la riforma fiscale. 
 Tre giorni dopo il 16 ottobre una pesantissima randellata è stata data   dal Parlamento  ai lavoratori  con il varo definitivo, dopo due anni  di incubazione, del collegato lavoro. Una legge che introduce  l’arbitrato e riduce i poteri del giudice in caso di licenziamento.Il  giudice dovrà tenere conto di una serie di cose che non hanno niente a  che fare con la giusta causa e che praticamente lo guidano a riconoscere  le ragioni del datore di lavoro! Dalla giusta causa dei lavoratori alla  giusta causa dei padroni! Basta leggere la legge approvata per rendersi  conto dell’odio di classe verso i lavoratori che la impregna dalla  primo all’ultimo capoverso. Sarà difficile per quello che il  giuslavorismo riconosceva come la parte debole far valere i suoi diritti  e dovrà avere una assistenza legale che pochissimi si possono  permettere. Basti pensare a quanto costerà la semplice redazione di un  ricorso 
 contro un licenziamento da depositare in Tribunale. Il collegato lavoro  dà al governo una serie di deleghe che saranno usate contro gli  impiegati pubblici ed il “riordino” degli enti previdenziali. Non dubito  che si va verso la privatizzazione di Inps ed Inail enti che da tempo  fanno gola alla imprenditoria italiana per le riserve finanziarie  consistenti di cui dispongono. 
 Questa terribile mazzata che spezza per sempre le reni dei lavoratori,  (non dubito che se il centro-sinistra vincerà le elezioni confermerà  tutto come ha fatto in passato di tutte le leggi dei governi di destra),  è stata possibile per l’atteggiamento di vera e propria complicità  della CGIL e del PD. La CGIL durante i due anni di incubazione del  provvedimento si è limitata a qualche flebile lamento “dopo”  l’approvazione nei vari passaggi camera-senato.  Ha ritrovato voce dopo  il blocco del Capo dello Stato e poi ha organizzato di malavoglia un  paio di sitin davanti al Parlamento. 
 Il PD è stato molto collaborativo. In due giorni la Camera dei Deputati  ha approvato tutto certo con il voto contrario del PD ma si tratta di  una opposizione del tutto formale e dovuta che non ha neppure cercato di  ritardare il varo del micidiale provvedimento. 
 Questo è stato “l’ascolto” di Bersani che promette barricate contro la legge scudo di Berlusconi. 
 La “sinistra” strilla  per le difficoltà che la Rai frappone agli  emolumenti richiesti da Saviano Benigni ed altri. Trattasi di centinaia  di migliaia di euro, cifre che sarebbero giustificate dagli incassi  della pubblicità ma che suonano mostruose alle orecchie di chi guadagna  meno di  mille euro al mese e si tratta di milioni e milioni di  famiglie. 
 La CGIL e neppure la Fiom non potranno fare più niente contro il  collegato lavoro tranne che ricorrere alla Corte Costituzionale. Ci  dovevano pensare prima e organizzare una lotta adeguata.   La Corte  è  sotto assedio da anni e  non riesce più a difendere la Costituzione da  un assalto sempre più violento e travolgente. 
 Nei periodi di crisi si possono cedere  quote di salario ma non si  debbono mai cedere diritti. La cessione di diritti indebolisce le classi  lavoratrici moralmente e  crea una situazione sociale di squilibrio non  solo economico ma anche di cittadinanza. I cittadini operai conteranno  molto meno e non potranno far valere le loro ragioni. Non saranno più  eguali a tutti gli altri.  Se un giudice volesse intervenire in loro  soccorso, la legge glielo impedisce! Non si è esitato a limitare i  poteri della magistratura del lavoro. 
 Se questo è quanto ci portiamo a casa dopo il 16 ottobre c’è davvero da disperare sul futuro a cominciare dai prossimi giorni! 
 Avevo scritto nei giorni scorsi, dopo la grande manifestazione del 16,  che la classe operaia é via. E’ vero, ma non conta proprio niente! 
 								 	
						
		
								
										 Da repubblica. Pensioni, pugno di ferro di Sarkozy “Sbloccare i depositi di carburante” 
Il presidente ordina la riapertura delle strutture occupate durante la protesta contro la riforma. E promette: “Andiamo avanti con la legge”. Ancora tensione davanti alle scuole, scontri a Nanterre. Disagi negli aeroporti. Assediato dai manifestanti il principale deposito di autobus a Rennes 
PARIGI – Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha affermato in Consiglio dei ministri di aver dato l’ordine di sbloccare “tutti i depositi” di carburante di Francia occupati nel corso delle proteste contro la contestata riforma delle pensioni 1 “per ripristinare al più presto una situazione normale” nel Paese. E ha confermato: “Porterò a termine la riforma delle pensioni perché il mio dovere in qualità di capo di Stato è quello di garantire ai francesi che loro stessi e i loro bambini potranno contare sulla pensione”. Ma la protesta non si ferma. Nuovi incidenti sono scoppiati stamani a Nanterre, vicino a Parigi, a margine di una manifestazione di circa 200 studenti contro la riforma. 
Sarkozy parla al governo. “Per milioni di cittadini francesi i trasporti sono vitali. Si tratta di una libertà fondamentale. E in questi ultimi giorni molti di loro hanno dovuto affrontare i problemi di rifornimento di carburante che hanno toccato una parte delle stazioni di servizio”, ha detto Sarkozy durante il Consiglio dei ministri di oggi. “Se non viene messa fine alle protesta in tempi rapidi, questi disordini che cercano di paralizzare il Paese potrebbero avere ripercussioni sull’impiego e sull’economia”, ha avvertito il presidente. “Ho quindi dato istruzioni – ha affermato – affinché tutti i depositi di carburante siano sbloccati per riportare la situazione al più presto alla normalità”. Questa notte la polizia ha sbloccato tre depositi di carburante dell’ovest della Francia, a Donges, a Le Mans e a La Rochelle. E il ministro dell’Interno Brice Hortefeux ha avvertito che nuovi interventi di questo tipo saranno effettuati per tutta la giornata di oggi. 
Ancora tensione e scontri. E’ passata una settimana dall’inizio della mobilitazione contro la riforma del sistema previdenziale, ma le proteste continuano. Sono stati bloccati gli aeroporti di Nantes, Clermont e Tolosa. Secondo una fonte aeroportuale, stamane a Orly sono stati annullati un quarto dei voli, mentre a Roissy la situazione nelle prime ore del mattino era normale. Il principale deposito di autobus a Rennes è stato assediato da una cinquantina di persone che hanno impedito ai mezzi di circolare in città. In risposta all’appello dei sindacati, decine di dimostranti hanno anche bloccato l’entrata di un importante deposito a Port-de-Bouc. Continuano le proteste anche nelle scuole. Da lunedì scorso il liceo di Nanterre Joliot-Curie  è teatro di scontri tra giovani e polizia. Un’automobile è stata data alle fiamme oggi. Mentre sono stati danneggiati alcuni edifici, tra cui anche la sede del Consiglio generale del dipartimento delle Hauts-de-Seine, che fu presieduto da Nicolas Sarkozy fino al 2007. 
 (20 ottobre 2010) 
 								 	
						
		
								
										L’alleato migliore della Marcegaglia e di Marchionne è il PD il quale è diventato partito di governo tout court a prescindere dai contenuti della sua azione e dal programma che può variare a seconda delle fasce elettorali da adescare. Da molto tempo il PD si è convinto che l’Italia è di destra, che le idee del socialismo o soltanto della sinistra sono in minoranza, che bisogna conquistare il blocco sociale che oggi vota per il centro-destra. Il fatto che in Italia ci siano venti milioni di lavoratori con grandi problemi di vita e financo di sopravvivenza non lo commuove, non lo interessa. Gli interessano Marchionne e la Confindustria, Montezemolo, Colannino, Merloni. Per questo il suo staff che si occupa di questioni sociali e di lavoro è fatto di persone come Ichino,Treu, Letta che traducono in linguaggio giuridico, in leggi o altro, i desiderata dell’imprenditoria italiana. 
Il PD ha un peso enorme dentro la CGIL e sulla CGIL. I quadri dirigenti, i “funzionari” a tempo pieno che dirigono le categorie e di otto anni in otto anni trasferendosi da l’una all’altra sono sempre al loro posto  e costituiscono la struttura permanente della CGIL una volta facevano riferimento alle correnti comunista e socialista. Ora fanno riferimento soltanto al PD e si dividono soltanto per una maggioranza bulgara che fa capo ad Epifani ed una minoranza di circa il venti per cento che è un pochino più di “sinistra”. 
Il peso di questo “apparato” sulla CGIL è enorme. I cinque e più milioni di lavoratori che 
sono iscritti al Sindacato non hanno in realtà una grande voce in capitolo. Il potere dello apparato “a tempo pieno” riesce ad influenzare i Comitati Direttivi delle categorie che difficilmente si esprimono  difformemente nel dibattito interno. 
 Questa CGIL, negli ultimi due anni, ha realizzato tre scioperi generali tutti e tre dedicati al fisco. Una scelta che ha voluto escludere deliberatamente il padronato dalla  scandalosa questione salariale italiana e che si proponeva un piccolo recupero di una manciata di spiccioli dallo Stato. Non ha avuto alcun riscontro nel Governo che non ha concesso niente. I rapporti con Cisl ed UIL non sono stati buoni perchè la CGIL, condizionata da una base militante colta, consapevole e combattiva, non avrebbe potuto firmare la riforma del contratto e concordare l’allegato lavoro. Ma, sebbene non abbia condiviso le scelte di Cisl ed Uil non si è opposta ed ha consentito che i contenuti filtrassero attraverso le categorie 
 ed ha lasciato fare in Parlamento senza protestare che a cose fatte. Con l’accordo Alitalia ha passato il Rubicone ed ha consentito il dilagare di deregolation e nuove norme che sono giunte fino a Pomigliano ed ora invadono  tutto l’apparato industriale italiano. 
 Domani il Segretario Generale della CGIL che non ha mai nascosto il suo malumore per l’irrequietezza della Fiom ed il mancato accordo di Pomigliano concluderà il comizio di quella che si preannunzia come la più grande e vibrante manifestazione degli ultimi dieci anni. 
 Il comizio non potrà che confermare la politica della CGIL. La CGIL non chiederà la restituzione degli otto miliardi sottratti alla scuola ed impiegati nel finanziamento delle missioni militari, non chiederà l’abrogazione della legge Biagi, non chiederà  il rispetto dei ccnl ed il blocco delle deroghe, non chiederà di rivedere il sistema pensionistico praticamente ridotto ad  elemosine, non chiederà l’istituzione del Salario Minimo Garantito Europeo per combattere le aree di schiavismo.  Non chiederà un sostanzioso miglioramento dei salari. Si limiterà a chiedere una  generica politica industriale, miglioramento degli ammortizzatori sociali, qualche  euro di sconto fiscale  e, dal momento che Bersani ha accennato recentemente ai ricchi che non pagano le tasse, dirà qualcosa sulle rendite finanziarie. 
 Insomma  la enorme spinta che verrà dai lavoratori  verrà neutralizzata da un minimalismo al disotto delle necessità e delle istanze già avanzate in centinaia e centinaia di agitazioni e manifestazioni alle quali però non è stato consentito un punto di unificazione. Mentre la Francia dà vita a scioperi generali ben motivati da richieste precise come la scuola e le pensioni, in Italia le richieste resteranno generiche e minimalistiche.   
 E’ possibile che a fronte della secchiata di acqua gelata che sarà gettata sui cortei piuttosto che ricavarne forza e voglia di combattere, il movimento si frantumerà in tante lotte locali disperate e senza alcuna speranza. Fino ad oggi c’è la speranza del 16 ottobre. Domani  il 16 ottobre sarà già alle nostre spalle. 
 Il minimalismo della CGIL non è riformismo. Il riformismo di Giuseppe Di Vittorio Fernando Santi Vittorio Foa era basato sui diritti. Magari un salario non molto alto ma diritti garantiti ai lavoratori a tutela della loro dignità e del loro benessere di cittadini.  
 Oggi la lotta si accanisce non solo sui salari che si vorrebbero ancora abbassare ma sopratutto sui diritti, sullo Statuto dei Diritti dei Lavoratori, sulla natura del ccnl, sul diritto alla salute, allo sciopero, alla pensione, alla sanità, alla scuola.  Ichino sostiene che lo sciopero va abolito e con esso anche il sussidio di disoccupazione che “impoltronisce” l’operaio! Il PD non lo smentisce 
e chiede alla CGIL di essere patriottica, di aiutare l’economia italiana a ripartire caricandone il peso soltanto sui lavoratori. 
 Questa è  una delle più vistose anomalie italiane: sindacati che non danno niente ai lavoratori ma tolgono. Una sottrazione che dura dal 1992. 
Pietro Ancona 
già sindacalista CGIL, 
già membro del CNEL 
 								 	
						
		
								
										Il paese delle culle piene: qui il welfare non è un sogno 
Il numero medio di figli è 1,61 e supera anche quello dell’Unione europea. Dalle regioni ricche come il Trentino e l’Emilia riparte la natalità, con l’aiuto delle immigrate. Le aziende si modellano sulla presenza femminile con orari flessibili e più congedi 
BOLZANO – C’è un pezzo d’Italia dove i bambini continuano a nascere. Dove le culle sono piene e non vuote. Dove il tasso di demografia supera la media europea, e dove “essere famiglia” più che un evento straordinario sembra essere diventato la normalità. 
Siamo a Bolzano, Alto Adige, provincia autonoma e porta delle Dolomiti, risalendo il paese secondo le statistiche dell’Istat, in una regione in cui la crescita zero appare lontana, e il numero medio di figli per donna, 1,61, distanzia e non di poco la media nazionale ferma a 1,42, e quella della Ue, dove il tasso di fecondità è di 1,52 bimbi per ogni mamma. Bisogna venire qui per capire quest’Italia rovesciata, dove al Sud storicamente “ricco” di bambini e oggi con la demografia in caduta libera, si è sostituito quest’angolo di Nord Est, tra vigne, montagne e filari di mele, in cui le aziende provano ad essere family-friendly, a conciliare lavoro e famiglia, la crisi c’è ma si vede un po’ meno e gli ospedali hanno il record positivo di parti naturali. 
Da 0 a 3 anni i più piccoli possono contare su una rete capillare di asili nido, micro-nidi e tagesmutter (gli asili a domicilio), le famiglie ricevono sostegni statali, regionali e provinciali, muti agevolati e trasporti gratuiti, le aziende concedono part time, telelavoro. E così a Bolzano come a Trento, capitali italiane della demografia, i bambini continuano a nascere, “sostenuti da un welfare in affanno ma ancora forte”, sottolinea Eugenio Bizzotto, del Dipartimento per la Famiglia della Provincia di Bolzano, anche se i bollettini dell’Astat, l’istituto locale di statistica, ricordano che qualche anno fa andava ancora meglio. 
I tagli ci sono, anche qui. Ma all’asilo nido comunale “Il grillo parlante”, struttura di legno e vetro circondata da prati e montagne alla periferia di Bolzano, nel tepore dell’ora della siesta, il mondo dei bambini sembra essere protetto da un filtro di serenità e cura. Il più piccolo ha 5 mesi, il più grande 3 anni, le stanze sono in penombra, i lettini tutti occupati, nel silenzio si sentono i loro respiri regolari. Intorno spazi ampi, colori, grandi oblò perché i muri non siano cesure dello sguardo, c’è l’angolo dell’arte, la stanza dove si sta a piedi nudi per scoprire la differenza tra le cose, come una montagna granulosa di farina di polenta o un sacco pieno di oggetti. Al piano di sopra c’è il luogo dei travestimenti, i bagni hanno le vasche per i giochi d’acqua, e un ascensore conduce alla palestra con il teatro. 
«Qui usiamo soltanto pannolini di stoffa e cibi biologici – racconta Roberta Passoni, coordinatrice del nido – e possiamo ospitare fino a 42 bambini. Per realizzare l’asilo abbiamo a lungo lavorato con gli architetti, perché tutto potesse rispettare e stimolare la creatività dei più piccoli, ed essere un luogo accogliente anche per i genitori, che possono lasciare qui i figli fino alle 15,30 del pomeriggio, mentre altri nidi sono aperti fino alle 18. Del resto il nido deve permettere di conciliare famiglia e lavoro, e noi cerchiamo di rendere il distacco tra la casa e il “fuori” il più lieve possibile». 
È dalle regioni ricche come il Trentino Alto Adige o l’Emilia Romagna che il tasso di natalità è ripartito in Italia, seppure con il congruo sostegno dell’immigrazione. “Sono soprattutto le donne con 35 anni e oltre – si legge nel bollettino dell’Astat sulla natalità in Alto Adige – e principalmente quelle di nazionalità italiana, ad aver fornito il maggior apporto al recupero della fecondità locale”, con una percentuale dell’80% di nascite italiane, e il 20% dovuto alle donne immigrate. Conferma Alessandro Rosina, professore di Demografia alla Cattolica di Milano: «Gli esempi di welfare positivo lo dimostrano: più servizi e più occupazione femminile portano ad una maggiore natalità, creando quel famoso ambiente family-friendly che dà fiducia e ottimismo alle coppie e le spinge a fare anche più di un figlio. In Italia però le isole felici sono ancora pochissime». 
E per trovare un esempio “virtuoso”, certificato addirittura con il “Metodo Audit”, sistema di valutazione tedesco che premia i luoghi di lavoro che applicano strategie di conciliazione, bisogna salire a Postal, sopra Bolzano, tra natura e silenzio. L’azienda è la Dr Schar, leader europeo nella produzione di alimenti senza glutine, torte, biscotti, pane, pasta, e arrivando è proprio l’odore del pane fresco che si sente per tutta la valle. Dentro invece è come entrare in un’astronave ad altissima tecnologia, dove ogni “pezzo” viene impastato e infornato secondo rigorosi criteri scientifici. Un’azienda giovane, in veloce espansione, 189 dipendenti di cui 91 donne. 
«Proprio l’alta presenza femminile nella nostra azienda ci ha portato ad attuare misure come gli orari flessibili, il telelavoro, il part time, l’estensione di sei mesi dei congedi di maternità – dice Herbert Spechtenhauser, direttore delle risorse umane – e non avendo ancora un asilo aziendale paghiamo ad ogni lavoratrice il 30% del costo di una tagesmutter. Spesso anche i neo-padri usufruiscono del congedo di paternità, e tutto questo si è trasformato in un rapporto di alta fidelizzazione con i dipendenti e in un bassissimo ricorso alla malattia». 
Mamme che lavorano e culle piene. Nel 2009 nella provincia di Bolzano sono nati 5.232 bambini, di cui 1700 nel reparto di Ginecologia e Ostetricia diretto dal professor Sergio Messini. «Abbiamo strutturato le sale parto come se fossero delle stanze di casa, il travaglio si può fare nell’acqua, sul soffitto tante luci ricordano un cielo stellato, mentre aromi, massaggi e musica rendono questa fase più lieve, meno dolorosa. 
Le donne sono libere di scegliere la posizione che preferiscono per partorire, ognuna ha un’ostetrica tutta per sé, che la segue anche dopo, a casa – spiega Sergio Messini – ma siamo in grado di organizzare un cesareo in 5 minuti e abbiamo un reparto all’avanguardia per le patologie neonatali. E questo recupero della “naturalità” pur nella totale sicurezza medica, ci ha portati ad avere il minor numero di parti cesarei in Italia, circa il 20% contro il 35% della media nazionale. Avere figli del resto è un fatto normale, oggi invece è diventato un evento straordinario e raro…». 
dalla repubblica.it (16 ottobre 2010) 
 								 	
						
		
								
										MilanoX – 10 ottobre 2010 
Decine di workshop e assemblee animano gli Stati generali della  precarietà all’Arci Bellezza di Milano: «Bastano otto miliardi per  garantire un reddito garantito di 600 euro al mese per tutti quelli che  sono sotto la soglia di povertà – questa è una delle proposte in  discussione agli Stati generali della precarità in programma oggi e  domani a Milano all’Arci Bellezza di via Bellezza 16 (www.precaria.org). Ne parliamo con gli attivisti di Intelligence Precaria. 
Otto miliardi vi sembrano pochi? 
 Sono un terzo della manovra di Tremonti. In Italia ci sono otto milioni  di persone al di sotto della soglia di povertà relativa. Quattro milioni  sono lavoratori, precari, ma anche occasionali o in cassa integrazione.  Per garanire 600 euro al mese a queste persone ci vogliono 19,500  miliardi di euro, ai quali però vanno sottratti gli 11 miliardi che già  ora lo Stato spende per pensioni sociali, sussidi di disoccupazione e  cassa integrazione. Questo è uno dei punti del welfare metropolitano che  vogliamo proporre e estendere dalle Regioni a tutto il paese. 
Quali sono gli altri punti? 
 Accesso ai servizi e ai beni comuni e il salario minimo anche per chi  non è contrattualizzato. Il 40% dei lavoratori non è inquadrato in un  contratto nazionale, fra questi ci sono tutti i lavori di cura e i  lavori coperti dai migranti. 
Come si articolano questi Stati generali? 
 Ci sono una decina di workshop in parallelo e due momenti assembleari,  oggi si riunisce la rete «Uniti contro la crisi», un network  autorganizzato di lavoratori trasversale che unisce iscritti Fiom e dei  sindacati di base. Si tratta di un movimento nato due anni fa a Milano  dalle lotte della Innse, della Maflow e di altre aziende che dismettono  per liberarsi dei lavoratori. Si tratta per lo più di industrie  manifatturiere ma ci sono anche lavoratori dei call center. Sempre oggi  si riunisce la rete europea nata con la Mayday Parade del primo maggio  che da Milano ha contagiato 12 città del continente. Faremo anche il  punto su tutte le attività svolte, dal punto di vista sindacale e della  comunicazione che per noi è un modo importante e moderno di fare lotta  sindacale al di là dello sciopero e del presidio. 
Con la crisi la precarietà è la norma e l’emergenza è la disoccupazione, San Precario sembra meno capace di fare miracoli. 
 La precarietà è una condizione generalizzata: anche i lavoratori a tempo  indeterminato sono sottoposti al ricatto precario come è successo a  Pomigliano. E’ strutturale, questo sistema economico non né può fare a  meno, quindi riguarda tutti. Ed è una condizione di vita, non solo di  lavoro. Va oltre anche alla lotta sindacale. 
Andrete il 16 ottobre a Roma con la Fiom? 
 Sì, certo. Siamo felici che un pezzo nobile dei sindacati confederali  abbia detto basta e abbia alzato la testa. Però non vogliamo solo fare  una lotta difensiva, vogliamo nuove proposte, un nuovo modo di fare  sindacato, anche considerando che i lavoratori impiegati nel settore  manifatturiero coprono il 30% del Pil. A Milano il terziario, tra lavoro  materiale e immateriale supera il 70% dei lavoratori. 
Giorgio Salvetti 
 								 	
						
	
					
    
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