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										 (ATTENZIONE! QUESTO ARTICOLO E’ UN ESEMPIO ESTREMO DI DEMENZIALITA’. PROPRIO PER QUESTO E’ DEGNO DI NOTA) 
Mentre in Francia si celebra il No Sarkozy Day, ecco la mappa delle negazioni in voga. Dai No Global ai No pants, fino agli estremisti No Life, giovani che rinunciano alla vita reale per quella virtuale 
In Francia si protesta contro il primo ministro con il No Sarkozy Day e Libération stila una mappa dei movimenti che partono dal no. 
 Dire no è la moda del momento. No Life, No Logo, No Kids, No Meat, No Sex, No Shop Day. 
 Le occasioni per dissentire, nell’epoca del troppo di tutto sono tantissime e di ogni livello. Si parte dai burloni del No Pants Day, gioco globale che stabilisce la giornata mondiale per andarsene in giro in mutande, fino al gruppo d’impegno antinucleare No al Missile 51, che come una bomba intelligente intende contrastare un preciso tipo di arma atomica. 
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L’ombra  di Mediaset su Eutelia: migliaia di lavoratori in strada, cessioni  d’impresa e fallimenti premeditati, scatole cinesi e imprenditori senza  scrupoli con amicie pidduiste, la partita sulla fibra ottica, il gruppo  Mediaset e i suoi concorrenti… 
 insomma storie di capitalismo reale! 
Video-inchiesta a cura del collettivo Clash City Workers in appoggio  alla 
 lotta dei lavoratori Agile ex-Eutelia 
Diffondete, commentate, informate liberamente… il video è  No-Copyrigth 🙂 
parte 1: http://www.youtube.com/watch?v=MrGmddcoMTI 
 parte 2: http://www.youtube.com/watch?v=9zCSrOHE1QI 
Breve rassegna web: 
http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/argomenti/numer…… 
http://lavoratoriagileinlotta.blogspot.com/ http://www.eulav.net/ http://collettivolavoratorigetronics.blogspot.com/ 
 								 	
						
		
								
										
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LONDRA – Il governo britannico  vara un piano di aiuti all’economia da 2,5 miliardi di sterline (2,80 milioni di euro). Il pacchetto di aiuti inserito nella legge finanziaria 2010-1011 è stato presentato alla Camera dei Comuni dal ministro delle Finanze, Alistair Darling. Il pacchetto di aiuti, che arriva in vista delle elezioni del 6 maggio, sarà finanziato per la gran parte dalla tassa temporanea del 50% sui bonus dei banchieri, che ha fruttato ben 2 miliardi di sterline. ll governo laburista, ha aggiunto il ministro Darling, passate le imminenti elezioni politiche, si ripromette anche di avviare il “più drastico piano da decenni a questa parte” sul controllo della spesa pubblica.Il piano, ha spiegato Darling, “serve ad assicurare la ripresa, ridurre l’indebitamento e investire nel futuro dell’industria britannica”, oltre a “definire un cammino verso la prosperità a lungo termine”.  
 
 
  
Darling ha aggiunto che il governo di Gordon Brown ha fatto “le scelte giuste” per fronteggiare la crisi, incluso il sostegno alle banche, che però dovranno ridare tutto ai contribuenti. A questo proposito, il ministro ha ricordato che la tassa al 50% sui super bonus dei banchieri ha portato nelle casse dello stato circa 2 miliardi di sterline, “il doppio del previsto”. Il ministro si è nuovamente detto favorevole a nuove regole per il sistema bancario, ma solo se queste verranno coordinata a livello globale.
 
  
Nel merito, il programma del governo laburista prevede una serie di interventi a favore delle piccole imprese e dell’innovazione nonché il finanziamento di infrastrutture nazionali. In un contesto di maggiore ottimismo circa la ripresa economica nel Regno Unito, Darling ha rivisto in crescita le stime sul Pil: tra l’1% e l’1,5% quest’anno e tra il 3% e il 3,5% nel 2011. Il ministro delle Finanze ha inoltre tagliato le stime sull’indebitamento che è previsto di 167 miliardi di sterline nel 2009-10, 11 miliardi in meno rispetto alle previsioni iniziali. Entro l’aprile del 2014, ha aggiunto Darling, il deficit sarà tagliato a 89 miliardi di sterline dai 167 miliardi di quest’anno. Inoltre, il fabbisogno scenderà a 163 miliardi di sterline il prossimo anno per poi calare a 74 miliardi nel 2014-15. Dunque, ha spiegato Darling, “Il deficit risulterà inferiore di 100 miliardi di sterline entro il 2013-14 rispetto a quanto stimato nella finanziaria dell’anno scorso”. 
  La finanziaria inevitabilmente sarà al centro della campagna elettorale. Il governo punta sul fatto che contiene  sgravi e facilitazioni a favore della classe media e dei meno abbienti, e qualche aggravio sui ricchi. Il provvedimento-simbolo è la cancellazione dell’imposta di bollo per chi compra la prima casa, a patto che questa costi meno di 250.000 sterline; per compensare questi mancati introiti vengono aumentate le tasse per chi compra una casa da oltre un milione di sterline e per i redditi sopra le 130.000 sterline all’anno. Del complesso della manovra fanno parte, inoltre, gli aiuti ai pensionati a basso reddito per pagare il riscaldamento e l’ulteriore stretta contro l’evasione fiscale attraverso nuovi accordi con alcuni paradisi fiscali come la Repubblica dominicana, Grenada e il Belize. 
Ci sono poi aumenti delle tasse sul carburante, su alcolici e tabacco, ma anche sgravi fiscali per le imprese; stanziamenti extra per università e ricerca, sostegni all’occupazione giovanile e massicci investimenti per l’alta velocità, la banda larga per tutti, le biotecnologie e le centrali per l’energia rinnovabile.                        
 
(24  marzo 2010) da la repubblica 
 								 	
						
		
								
										Istat: nel 2009 crolla l’occupazione,  
persi 380mila posti di  lavoro 
Prima flessione dal ’95: il tasso di disoccupazione medio è salito  al 7,8% dal 6,8% della media del 2008 
ma nel quarto trimestre dell’anno l’indice è cresciuto  all’8,6% 
Istat: nel 2009 crolla l’occupazione,  
persi  380mila posti di lavoro 
Prima flessione dal ’95: il tasso di disoccupazione  medio è salito al 7,8% dal 6,8% della media del 2008 
  
MILANO –  Ora anche le statistiche confermano quello che è  sotto gli occhi di tutti da oltre un anno. In Italia aumenta la  disoccupazione. Gli occupati nella media 2009 sono infatti diminuiti di  380 mila unità rispetto alla media 2008. Lo comunica l’Istat,  sottolineando che si tratta del primo calo annuale dal 1995. Il tasso di  disoccupazione medio è salito al 7,8% dal 6,8% della media del 2008. 
DISOCCUPATI –  Il tasso  disoccupazione nel quarto trimestre 2009 è salito all’8,6% (dato non  destagionalizzato), il livello più alto dal 2001. Lo rileva l’Istat,  sottolineando che i senza lavoro hanno raggiunto quota 2,145 milioni di  unità,  369mila in più rispetto allo stesso periodo 2008.  Nel quarto  trimestre inoltre  il numero di occupati cala dell’1,8%, pari a 428 mila  unità rispetto allo stesso periodo del 2008. 
CRESCE LA DISOCCUPAZIONE ITALIANA  –  Nella media del 2009 – sottolinea l’Istat l’occupazione si riduce su  base annua del 1,6% (-380 mila unità). Alla flessione particolarmente  robusta dell’occupazione maschile (-2% pari a 274 mila unità in meno  rispetto alla media 2008) si associa quella meno accentuata  dell’occupazione femminile (-1,1% pari a 105 mila unità).  Il calo  dell’occupazione si concentra al sud (-3% pari a 194 mila unità in meno)  ma è alto anche nel nord (-1,3% pari a 161 mila unità in meno) mentre  resta contenuto al centro (-0,5% pari a 25 mila unità in meno). Il  risultato negativo dell’occupazione totale tiene conto della riduzione  molto accentuata della componente italiana (-527 mila unità)  controbilanciata dalla crescita, pur se con ritmi inferiori al passato,  di quella straniera (+147 mila unità di cui 61 mila uomini e 86 mila  donne). Nel complesso nel 2009 lavorano 23 milioni e 025 mila per un  tasso di occupazione complessivo del 57,5% (-1,2 punti percentuali sulla  media 2008). 
TREMONTIE SACCONI – «Non ho ancora visto gli  ultimi dati sull’occupazione diffusi oggi dall’Istat ma confermo quello  che ho già detto nei giorni scorsi, e cioè che i dati medi del nostro  Paese sono sostanzialmente dati di tenuta migliore degli altri Paesi e  che sull’occupazione il dato italiano è migliore della media europea».  Così il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha risposto a chi gli ha  chiesto di commentare gli ultimi dati in materia di occupazione.  «L’ultimo dato che ci riguarda – ha aggiunto Tremonti – sulla  disoccupazione ci attestava all’8,6% mentre la media europea supera il  10%. Non nego che c’è la crisi, l’ho detto per primo in tempi non  sospetti che sarebbe arrivata, ma la disoccupazione in altri paesi  arriva anche al 20%. Ribadisco – ha concluso il ministro dell’Economia –  sono dati che preferiremmo fossero diversi ma sono migliori rispetto ad  altri».   
«Il dato medio della disoccupazione del 7,8%  – gli fa eco  il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi – si confronta con una media  Eurozona del 9,4% secondo un differenziale che si conferma anche nel  dato congiunturale di gennaio. Peggiori dei dati italiani sono stati  quelli di molti Paesi tra i quali Francia, Svezia, Spagna che  addirittura supera il 18% e gli stessi Stati Uniti nel 2009 hanno  registrato una disoccupazione al 9,3%. Nonostante l’Italia sia  un’economia fortemente esportatrice il riverbero della crisi sulla  cessazione di rapporti di lavoro è stato contenuto dalla decisione di  utilizzare strumenti come i contratti di solidarietà e la cassa  integrazione sotto varie forme». 
  
DAMIANO -  Di tutt'altro parere  Cesare Damiano, capogruppo Pd in commissione Lavoro della Camera: «Gli  ultimi dati Istat confermano la gravità della caduta dell'occupazione.  Tra il 2008 e il 2009 sono stati persi quasi 400 mila posti di lavoro.  Non vorremmo sentire nuovamente le rassicurazioni del ministro Sacconi  che tutte le volte ci spiega che il nostro tasso di disoccupazione è al  di sotto della media europea». «Quello che il ministro Sacconi dimentica  sempre di dirci - prosegue Damiano - è che il dato più rilevante è  costituito dal tasso di attività che si attesta al 57,5% con un calo  dell'1,2% ed è tra i più bassi dell'Ue. Sottovalutare ancora i problemi  occupazionali sarebbe colpevole».  Per Damiano «il governo anziché  tingere artificialmente di rosa la situazione, a puro scopo elettorale,  farebbe bene a dire la verità e a mettere in cantiere misure idonee per  uscire dalla crisi: una politica industriale che guardi all'innovazione e  individui i settori strategici; l'adozione di ammortizzatori sociali  universali; il potenziamento del reddito delle famiglie per stimolare i  consumi interni, come da tempo chiede il Pd con le sue proposte». 
 								 	
						
		
								
										Berlusconi, come ci informa Forbes, ha  aggiunto nell’anno 2 miliardi di dollari alle sue ricchezze; non c’è  quindi da meravigliarsi che egli vada ripetendo continuamente che non  c’è in giro nessuna crisi economica. 
Dallo scoppio della crisi in poi tutti sembrano preoccuparsi della  sorte dei poveri, guardando con trepidazione sia alle persone che ai paesi meno fortunati; si constata l’aggravamento della loro situazione dopo lo  scoppio della bolla dei mutui subprime e si invocano da più parti  rimedi di vario genere, a livello nazionale ed internazionale, per far fronte alle difficoltà. Quasi nessuno invece sembra badare alla sorte dei ricchi e  questo può suscitare qualche legittima meraviglia. 
Cosa sta in effetti succedendo a tale, peraltro ridotto, strato della popolazione mondiale? Ci fornisce qualche elemento per rispondere alla  domanda e placare forse qualche ansia diffusa in giro l’annuale classifica della rivista statunitense Forbes, che elenca diligentemente, attraverso  indagini approfondite, le persone che posseggono in tutto il mondo un patrimonio  di almeno un miliardo di dollari. 
L’elenco, con riferimento alla situazione presente alla fine del 2009  e che molti tra i nostri lettori attendevano forse di conoscere con  impazienza, è stato da poco pubblicato dalla rivista americana e possiamo subito  affermare che finalmente il mondo può tirare un sospiro di sollievo, anche se non  tutte le nubi si sono ancora diradate all’orizzonte. 
In effetti, mentre nell’elenco al 31 dicembre del 2008 il numero  delle persone superricche appariva falcidiato dalla crisi, essendo sceso a  sole 793 unità, contro le ben 1125 dell’anno precedente – cosa che sembrava poter precludere all’apocalisse -, nella lista 2009 si assiste invece ad una  netta ripresa e il numero delle persone molto agiate cresce di nuovo sino a  1011 unità, inoltre con un incremento della ricchezza media per persona da  3.0 a 3,5 miliardi di dollari. Ci sono così buone speranze che la lista per il 2010 riesca a  battere persino il record del 2007 e che tutto rientri così di nuovo pienamente nell’ordine. A meno, certo, che la crisi non riparta per qualche via e i  vari governi non abbiano l’ardire di aumentare le tasse ai ricchi per cercare  di tappare qualche buco di bilancio, cosa certamente per fortuna molto poco probabile quasi dovunque e certamente impossibile, al momento almeno,  nel nostro fortunato paese. 
Come sottolinea W. Hutton sull’Observer (Hutton, 2010), non vi è in  giro alcuna valutazione negativa riguardo ai miliardari. Si da per scontato  che altissimi livelli di ricchezza siano inevitabilmente associati con il capitalismo, il progresso economico, la crescita dell’occupazione; un  maggior numero di superricchi appare quindi a quasi tutti un importante segno di vitalità economica. 
Ma bisogna in realtà considerare che la ricchezza può venire da  attività produttive od invece improduttive. Il numero maggiore delle persone  presenti nella lista deriva gran parte dei suoi beni dal secondo tipo di vicende,  da pratiche monopolistiche, da furti su larga scala alle casse pubbliche –  come nel caso degli oligarchi russi, presenti nella lista in numero di 62 e  di quelli turchi, con 28 nomi -, da speculazioni immobiliari, da meccanismi  di ingegneria finanziaria che ci hanno portato al disastro attuale, da  evasioni fiscali su larga scala, o semplicemente da eredità, cosa quest’ultima  che non comporta certo alcun merito. 
In questa larga categoria di persone rientra tranquillamente il primo  ricco presente nella lista di Forbes, il messicano C. Slim. Non si può certo  dire che egli abbia creato ricchezza per il suo paese; l’ha semplicemente  sottratta, peraltro legalmente, ai suoi cittadini, con delle tariffe telefoniche  tra le più alte del mondo, che il signor Slim si può permettere di praticare  sia in quanto monopolista del settore nel suo paese, sia per le relazioni  amichevoli che egli intrattiene con le autorità pubbliche preposte al controllo del  business. 
Anche nel caso, minoritario, di quelli che sembrano avere fatto tanti  soldi con attività produttive e innovazioni importanti per il mercato ed anche  per la società, la realtà appare in proposito spesso piuttosto articolata. Si  prenda ad esempio il caso di Bill Gates, il geniale imprenditore di Microsoft,  la seconda persona elencata nella classifica; egli è anche additato a  ragione come un imprenditore che destina gran parte delle sue ricchezze a cause  umanitarie. Ma bisogna considerare che la  Microsoft si trova da lungo tempo sotto il torchio delle autorità di Bruxelles per le sue abiette pratiche monopolistiche. 
Ma anche nel caso del terzo nome nella lista, quello di Warren  Buffett, cui non sembra potersi attribuire alcuna cattiva pratica di gestione e che  può anche destare qualche simpatia, ci si può comunque interrogare su quanto  sia socialmente accettabile che una persona singola, per quanto brava a  gestire gli affari, riesca ad accumulare tante ricchezze senza che almeno il fisco intervenga impietosamente. 
Ma si tratta forse semplicemente di invidia da parte nostra, come rileverebbe subito a chi facesse ragionamenti di questo tipo il nostro presidente del consiglio. 
Bisogna considerare per fortuna che la lista di Forbes sottovaluta probabilmente il fenomeno della ricchezza mondiale. Mentre è in effetti relativamente semplice controllare il valore di azioni, obbligazioni,  beni immobili posseduti ufficialmente dalle varie persone, appare molto  difficile invece sapere quali ricchezze ulteriori si nascondano nei paradisi  fiscali e quanto valgano veramente i titoli delle società non quotate. Alla fine,  siamo ad esempio fiduciosi che la ricchezza reale di Berlusconi sia superiore a quella rilevata ufficialmente e che egli quindi possa scalare idealmente  qualche posizione nella classifica, che lo vede attualmente soltanto al 73o  posto; quasi una vergogna. 
Un altro fatto che ci conforta, esaminando la lista, è che si va  finalmente affermando nel mondo un regime di pari opportunità e che le grandi  ricchezze non sono ormai un campo riservato ad un ristretto numero di americani e di  europei, i quali non riescono più a bloccare l’assalto degli aspiranti ricchi  degli altri continenti. La tradizionale divisione internazionale del lavoro  almeno su questo fronte non ha retto all’urto e il vecchio ordine sociale è scosso  dalle fondamenta. 
La lista ci dice così che anche i ricchi dei paesi meno fortunati  possono competere ormai ad armi uguali con quelli dei paesi avanzati, dei quali sembrano avere imparato tutte le sottigliezze gestionali e ai quali è  ormai permesso di copiare gli stili di vita e la tipologia dei consumi dei  loro omologhi dei paesi occidentali. 
Così i superfortunati dell’Asia e dell’Australia hanno raggiunto il  numero di 234, contro i 130 dell’anno precedente e con una cifra complessiva  ormai molto vicina a quella degli europei, ora scesa a 248. 
Nel confronto tra India e Cina, i due grandi paesi emergenti, il  numero dei cinesi milionari è certo superiore, raggiungendo il numero di 79, la  cifra più alta dopo quella degli Stati Uniti, ma mediamente i ricchi indiani,  presenti nella lista in numero di 52, hanno una ricchezza media maggiore di  quella cinese. Questo deriverà forse dalla ben nota spietatezza fiscale con cui  il regime comunista di Pechino perseguita normalmente i poveri miliardari  del paese. 
Non che gli americani siano messi male; il 40% dei nomi nella lista è  ancora di cittadini statunitensi, contro peraltro il 46% dell’anno precedente;  essi controllano ancora il 38% della ricchezza totale. 
Complesse formule economiche messe a punto da due economisti  britannici (Doward, 2010) suggeriscono che una volta che un paese abbia raggiunto  un ragionevole standard di vita, non c’è più nessun beneficio incrementale  che possa derivare da una crescita ulteriore della ricchezza dei suoi  abitanti e che anzi un suo ulteriore aumento tende a danneggiare seriamente il  benessere del paese. Un altro studio ( citato sempre in Doward, 2010), in qualche  modo complementare al precedente, suggerisce inoltre che gli Stati Uniti e la  Gran Bretagna, che sono fra i paesi con le maggiori differenze di ricchezza tra i ricchi e i poveri, sono tra quelli che hanno anche i maggiori problemi sociali e  sanitari. 
Per quanto riguarda l’Italia, il numero dei ricchi presenti  nell’elenco appare abbastanza ridotto, anche se bisogna ricordare che il nostro è  anche un paese di grandi evasori fiscali. Il primo della lista è il padrone della Ferrero, con un rispettabile 28o posto, seguito dal proprietario della Luxottica, Del Vecchio; seguono poi Berlusconi, Armani, Moretti Polegato  e i quattro fratelli Benetton. 
Berlusconi, come ci informa Forbes, ha aggiunto nell’anno 2 miliardi  di dollari alle sue ricchezze; non c’è quindi da meravigliarsi, come  suggerisce un lettore dell’Observer, che egli vada ripetendo continuamente che non c’è  in giro nessuna crisi economica. 
Testi citati nell’articolo 
-Doward J., More money makes society miserable, warns report, www.observer.co.uk,  14 marzo 2010 
-Hutton W., Don’t celebrate these billionaires, be horrified by their existence, www.observer.co.uk,  14 marzo 2010 
http://www.sbilanciamoci.info 17/03/2010 
di Vincenzo Comito • 21-Mar-10  
 								 	
						
	
					
    
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