Il treno è strapieno, una volta superata la perquisizione (più o meno minuziosa a seconda della faccia che ti è capitata in sorte) siamo riusciti a partire con solo tre ore di ritardo da una blindatissima stazione Garibaldi.
Dopo mesi in cui non si parlava d’altro finalmente andiamo a Genova. Già perché Genova era iniziata già parecchi mesi prima con incontri e assemblee preparatorie, poi il 17 marzo c’era stato l’antipasto del Global Forum a Napoli. Nonostante questo campanello d’allarme, scendiamo a Genova con entusiasmo e un po’ di incoscienza verso ciò che ci aspetta.
Dall’altra parte invece nulla era stato lasciato al caso: ogni cosa era stata studiata e pianificata nelle settimane precedenti. La scena era stata preparata dall’uscente governo di centrosinistra, in particolare dal Ministro dell’Interni Enzo Bianco, che termina il mandato l’11 giugno 2001 a poco più di un mese dall’inizio del Summit. Gli succede Claudio Scajola responsabile dell’ordine pubblico durante il G8 in collaborazione con il vicepresidente del Consiglio, Gianfranco Fini presente in prima persona nella sala di comando dei carabinieri a Genova.
Arriviamo a notte fonda sotto una pioggerellina insistente e ci sistemiamo in via Battisti nella palestra della Scuola Pertini sede del Mediacenter e della segreteria del Genova Social Forum. Il tempo di dormire qualche ora e siamo subito in strada direzione stadio Carlini, il luogo del concentramento del corteo della disobbedienza civile che sarebbe partito nel primo pomeriggio per tentare di violare la zona rossa.
Il corteo parte abbastanza puntuale: un fiume colorato di persone provenienti da diversi paesi si riversa nelle strade al grido di “GE-NO-VA LI-BE-RA, GE-NO-VA LI-BE-RA”, l’entusiasmo e l’allegria si spengono con le decine di lacrimogeni che cominciano a piovere sulle nostre teste quando arriviamo alla fine di via Tolemaide, a più di un chilometro dall’inizio della fatidica zona rossa. Dopo un attimo di sbandamento, il corteo si riorganizza e prova, come può, a resistere alle cariche della polizia prima e dei carabinieri poi. La battaglia dura un paio d’ore fino all’intervento delle camionette con gli idranti che ci respingono indietro verso il Carlini, nel frattempo le cariche proseguono nelle viette laterali sfociando in vere e proprie cacce all’uomo. Verso le 19 siamo di nuovo dentro lo stadio con gli occhi arrossati tentando di capire cosa era successo, intanto una voce comincia a circolare: “Hanno ammazzato un ragazzo, forse due”, le notizie si susseguono in maniera contraddittoria fino a quando una piccola sgangherata televisione è accesa sul TG5 che annuncia che a Genova era morto un ragazzo. Le immagini del carabiniere che insegue un manifestante gridando: “L’hai ucciso tu con il tuo sasso!” scatenano una selva di insulti e bestemmie, molti piangono altri si aggirano increduli, io rimango di sasso senza parole, neanche la forza di una lacrima.
Il buio arriva a chiudere una giornata surreale, decidiamo con altri tre compagni di farci un giro, nonostante i compagni più vecchi ci abbiano sconsigliato vivamente di muoverci dallo stadio. La città si presenta ancora più surreale: non incontriamo nessuno, in compenso vediamo i segni della “battaglia” e troviamo per terra i numerosi bossoli dei lacrimogeni sparati, anche se non siamo degli esperti notiamo che alcuni bossoli sono parecchio diversi dagli altri…le immagini dei giorni successivi chiariranno la provenienza (trovate un’ampia ricostruzione nel documentario OP Ordine Pubblico Genova 2001 http://www.ngvision.org/mediabase/871).
Verso l’una arriviamo un’altra volta in via Battisti e decidiamo di fermarci qui a dormire, ma stavolta non alla Pertini, ma alla scuola di fronte: la scuola Diaz. Ci sembra un posto tranquillo dove riprendere un po’ di forze per l’indomani.
Il sabato stesso copione: cariche indiscriminate e gente che tenta di mettersi in salvo. Ancora una volta c’è chi decide di non scappare, ma la sproporzione con i mercenari in divisa è evidente, la quantità di feriti e di fermi è impressionante.
Noi riusciamo a ripartire verso le 21 dalla stazione di Brignole, ma i giochi non sono ancora chiusi:
alla scuola Diaz prima e alla caserma di Bolzaneto poi i vertici della Polizia dimostrano che loro non sono secondi a nessuno e mostrano il loro biglietto di presentazione al neonato governo sicuri della totale copertura politica. Gli anni successivi dimostreranno che avevano fatto bene i loro conti: tutti promossi. Sul campo.
Torniamo da Genova con le ossa rotte e un compagno in meno. Niente potrà essere come prima, se qualcuno si ritira a vita privata, molti scelgono di proseguire le battaglie che ci avevano portato sulle strade assolate di Genova e rispondere alla criminalizzazione del movimento (tema più che mai attuale visto i fatti della Val Susa). Nascono i social forum europei e mondiali e, sul piano locale, sorgono una miriade di microgruppi che si occupano dei più svariati temi: dall’ecologia all’antirazzismo, dai diritti civili alla lotta alla globalizzazione neoliberista. “Pensare globale, agire locale”: l’indicazione del Subcomandante Marcos riecheggia dalla Selva Lacandona ai quattro angoli del pianeta.
Il movimento prova a costruire un ordine del discorso diverso da quello che si vuole imporre a suon di guerre e manganelli: la guerra in Afghanistan è alle porte, la seconda potenza mondiale (così il New York Times definisce il movimento contro la guerra) prepara il suo debutto riprendendo il filo delle giornate genovesi.
Dieci anni dopo torniamo a Genova consapevoli dei nostri errori, ma anche della ricchezza nata in quei giorni e su quelle strade. Ci torniamo sicuramente in maniera meno ingenua e più disincantata, il quadro mondiale è profondamente mutato, la globalizzazione neoliberista ha dato i suoi frutti partorendo la peggior crisi economico-sociale dell’ultimo secolo. La ricetta per uscire da questa situazione prevede, ancora una volta, gli stessi ingredienti che hanno contribuito a crearla: sostegno alle banche, speculazioni finanziarie, tagli al welfare, privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite. La battaglia per i beni comuni è la nuova linea di confronto. Ancora una volta tocca a noi essere all’altezza dei nostri tempi guardando oltre i confini del nostro piccolo giardino. Con Carlo nel Cuore.
Milano, 20 luglio 2011
FabeR
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