Il primo amore. Dalla banda Bonnot ai punk, la vita e i libri di Primo Moroni sono stati punto di riferimento e stimolo per i movimenti antagonisti
milanesi e non solo. La battaglia per il suo Conchetta cambia la geografia della città e scuote la sinistra
Avevo meno di vent’anni quando entrai per la prima volta nella libreria Calusca. Abitavo in un quartiere periferico di Milano e il sangue mi
bolliva di rabbia urbana. Un po’ titubante e molto presuntuoso, volevo chiedere se accettavano in contovendita le mie punkzine. Il tipo che mi accolse dietro a una scrivania incasinata era Primo Moroni e assomigliava vagamente a Ho Chi
Minh, intorno a lui un poster con il viso di Che Guevara e una marea di libri dalla copertina rossa.
Non mi fidavo, beato nella mia ignoranza pensavo che l’ambiente fosse troppo comunista per i miei gusti anarcopunk. Alle sue spalle, mentre stava consultando la mia rivistina fotocopiata, avevo intravisto una strana maxifoto dei primi del Novecento che ritraeva quattro personaggi vestiti di
nero, un po’ burberi, un po’ stracciati, ma anche molto grintosi.
All’istante gli chiesi provocatoriamente: «Ma quelli sono dei punk?» e lui sorridendo mi rispose: «Certo», poi si alzò e cercando tra le pile di libri mi tirò
fuori La banda Bonnot di Thomas Bernhard. «Eccolo! Te lo regalo, così conoscerai la storia dei tipi della foto». Lo divorai in una notte e pensai che era vero, quelli della banda Bonnot erano proprio dei punk. Riottosi, anarco-banditi e vegetariani.
Da allora non mi feci più sfuggire l’occasione di andare da Primo per ascoltarlo, avevo compreso l’importanza della carta stampata per indirizzare i miei bollori in una direzione meno no future . Nel corso degli anni passai tante giornate dentro la Calusca e capii che a Primo bastava uno sguardo per proporre il libro giusto a ogni persona che si affacciava per la prima volta in negozio. Con quelli più giovani e arrabbiati non sbagliava mai un colpo…
La mia formazione è interamente costruita attorno a quei suoi consigli di lettura e alle persone che incontravo lì dentro. Nel gennaio del 1998, quasi vent’anni dopo, andai a trovare Primo all’ospedale. La morte lo aspettava dietro l’angolo. Aveva letto il mio libro di esordio appena pubblicato, Costretti a sanguinare , e mi parlò de Il giovane Holden scritto da Salinger, il cui titolo originale è The Catcher in the Rye che letteralmente significa «il guardiano nel campo di segale». Nel romanzo, quando la sorella minore del protagonista gli chiede cosa mai vorrà fare da grande, lui risponde con questa frase. Il «catcher in the rye» è colui che salva i bambini, afferrandoli un attimo prima che cadano nel burrone, mentre giocano in un campo di segale. Fu quello l’ultimo spunto che Primo mi volle regalare. A vent’anni da La Banda Bonnot , mi svelava quale fosse il senso più profondo della sua idea di cultura. Un’indicazione, uno stile di vita che ora è incarnato nel centro sociale Cox 18.
Racconto questa storia autobiografica perché, come capirete, è stata fondamentale per il mio percorso professionale e militante, ma è anche un episodio esemplare per altre centinaia e centinaia di compagni e compagne. Donne, tante donne che hanno talmente amato l’affascinate libraio da dimostrarlo con forza anche sabato scorso, prendendo, incordonate su tre file, la testa del corteo per le tre ore della manifestazione. Davvero splendide. Primo Moroni lo rimpiangono i movimenti antagonisti di tutta Italia, quella sua indecifrabile capacità di essere stratega del conflitto e delle mediazioni. Quella tensione nel mettere il mondo della cultura davanti alle sue responsabilità, quasi costringendo artisti e intellettuali a prendere una posizione precisa. Con mille citazioni raccattate dal suo incredibile vissuto o da qualche libro nascosto in chissà quale angolo della libreria, riusciva ad affabulare l’interlocutore più moderato convincendolo a restare dalla parte degli sfruttati, sempre.
Il giorno del suo funerale Oreste del Buono scrisse: «Era un turbatore della quiete ingiusta che ha avuto il merito di avvicinare alla cultura tantissimi che la rifuggivano». Una cultura eretica di estrema sinistra, l’unica in grado, a mio parere, di trovare percorsi di lotta unitari nelle nostre metropoli, dove la rabbia di giovani e meno giovani cresce sottotraccia alla vigilia della grande recessione, con il diminuire del lavoro e l’evaporare della politica tradizionale.
I 10.000 di sabato scorso, scesi in piazza a 48 ore dallo sgombero, hanno cambiato i rapporti di forza in città. La solidarietà dei milanesi è molto vasta, a partire dai numerosi striscioni pro-Conchetta apparsi sui balconi del Ticinese, dalle migliaia di firme al nostro appello, e dai tanti commenti indignati contro i brutali articoli on-line delle testate cittadine. La Moratti ammicca il dialogo e De Corato rischia la carriera politica. Il vicesindaco farebbe bene a restituirci subito Cox 18 e inventarsi un’altra emergenza, magari non sui soliti rom, arabi, prostitute o quant’altro, deve far dimenticare in fretta la campagna agit-prop che lo vede come un nazista intento a bruciare libri, oppure che imprigiona la sua faccia nel divieto ecopass con la dicitura: «Zona a pensiero limitato». Poi rimane il fatto che lo sgombero è stato completamente illegale:
gli avvocati di Cox 18 hanno cercato invano in tutto il tribunale un pezzo di carta straccia che lo autorizzasse. Niente… Non hanno trovato niente.
Prima dei lanci di scarpe e degli oceanici «buuuuh» a Capitol Hill, i nostri amministratori dovrebbero farci rientrare domani, fare finta di niente, parlare
d’altro, insabbiare la cosa. Cox 18 rientrerebbe appendendo, al già blasonato muro della sua storia resistente, un’altra coccarda di un’altra battaglia
vinta. La risposta alla Moratti è quella ben espressa dai famigliari di Primo in cox18.noblogs.org, tuttavia allego volentieri quella di un cittadino qualunque che scrive un ironico commento in rete, credo condiviso da parecchi milanesi: «Ho ascoltato il tg di oggi, sembra che la nostra sindachessa si sia offerta di salvare, non si sa come e quando e dove, l’archivio di Primo Moroni… Ahiaiai!! Come al solito prima il bastone e poi la carota! Cara Letizia, i tuoi scagnozzi, (de Corato & Co.) l’hanno fatta grossa, vero? La città e Conchetta non demordono e allora voilà! Con la bacchetta magica Fata Letizia farà in modo che l’archivio del centro sarà salvato! Ma non ci basta cara, lasciaci vivere quel poco che c’è di bello nella nostra città…». «Cox 18, il fiore all’occhiello di Milano», si leggeva su un cartello esposto al corteo, il luogo di scambio e incontro tra cultura alta e quella espressa dai ghetti, unico nella sua composizione, dall’ultras al docente universitario, dal mattacchione dei navigli allo scienziato della tastiera. Inutile spiegare cosa c’era dentro e cosa si è vissuto in quello spazio durante 32 anni, basta osservare l’esterno per rimanere meravigliati, quel gigantesco murales bianco e rosso è un vero flash per smogville , l’ha realizzato qualche mese fa Blu, uno dei più importanti esponenti di arte da strada a livello internazionale, e ora è deturpato dalle lastre di metallo del sigillo poliziesco. Ben altro danno rispetto a un cassonetto bruciato. Tuttavia sono i libri dell’archivio il punto in cui deve far perno la lotta. «Quei libri sono la nostra storia» era uno degli slogan urlati in corteo, volumi che rappresentano la memoria del Ticinese, «il triangolo dei destini incrociati», memoria dell’intera città, memoria, presente e futuro dei movimenti operai e controculturali mondiali, dalla dicitura ferlinghettiana «City Lights» all’ultimo libro pubblicato dell’Archivio, quello sui Wheathermen scritto dall’amico di Obama, Bill
Ayers, dalla copia firmata del primo libro di Bruce Sterling al saggio-inchiesta Cuori Rossi di Cristiano Armati. La battaglia per i libri di Primo deve diventare una battaglia di tutto il movimento antagonista italiano, quello vero, quello non legato alla conquista del potere o del portafoglio, un movimento costituito da coloro che con anima e corpo si mettono a completa disposizione delle lotte di lavoratori, diseredati e delle minoranze, proprio come faceva Moroni aprendo giornalmente la Calusca. Mobilitiamoci tutti insieme nella difesa di Cox 18 e della nostra stessa storia.
di Marco Philopat
su Il Manifesto del 29/01/2009
http://lombardia.indymedia.org/node/12752
http://www.petitiononline.com/cox18/petition.html
http://cox18.noblogs.org/
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