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Chi ha la ventura di vivere quest’epoca non potrà certo dire di aver attraversato decenni noiosi e indifferenti. Dopo quasi due secoli di progressi politici sociali e economici improvvisamente, prima lentamente poi sempre con maggiore velocità, il corso della storia sembra invertire la propria direzione e un’ immensa opera di ristrutturazione politico-economica spazza via uno dietro l’altro i diritti fondamentali: le conquiste, i salari dignitosi, uguaglianze, solidarietà e sovranità.
Certo ci sarebbe da questionare sul significato della parola progresso: sulla sua disomogenea distribuzione sia sociale che geografica, su chi ha potuto fruirne i benefici; si potrebbe pure discutere sugli effetti collaterali di questo progresso: l’insostenibilità dell’impatto ambientale di una politica tutta rivolta al consumo sfrenato, l’insostenibilità e sulla fugacità culturale e neurale di un sistema comunicativo che agisce come bombardamento della corteccia celebrale; si potrebbe dibattere a lungo, ma vi è una questione che non può essere elusa.
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Il 2011 è stato un anno che non dimenticheremo mai, l’anno nel quale è esplosa una molteplicità di movimenti in diversi territori in faccia al dominio debitocratico della governance economica, alla sospensione e deprivazione dei nostri diritti attraverso la dottrina dello shock che ci viene somministrata, e alla conseguente precarietà materiale ed esistenziale delle nostre vite. Lungo questo ciclo insurrezionale, dall’Islanda alle ultime sollevazioni in Russia e Ungheria, se qualcosa si è reso palese è l’avanzato stato di decomposizione dei sistemi politici e dei loro meccanismi di rappresentanza (non ci rappresenta nessuno!), così come il loro servilismo al comando capitalista (salvare le persone non le banche!).
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Intervista ad una attivista dei collettivi universitari E.A.A.K. (Grecia)
1. La situazione in Grecia è arrivata a un punto estremo: come si è arrivati a questo? È possibile individuare le origini della crisi? E il suo rapporto con il debito pubblico?
Per rispondere bene a questa domanda ci vorrebbe un dibattito di ore ma proverò a fare una sintesi. L’attuale crisi del capitalismo è una crisi strutturale e non una crisi del debito dei Paesi. L’enorme accumulazione di profitto degli ultimi anni è all’origine di questo crollo. La gente accendeva mutui per le vacanze, per le scarpe, per la casa, per la macchina,… per tutto, insomma; i mutui erano facilmente accessibili, la circolazione dei soldi “virtuali” era enorme, le borse in crescita. Era la Grecia dei giochi olimpici (che vedeva la costruzione di opere imponenti e inutili), la Grecia dell’Unione Europea.
La crisi comunque non significa la fine del sistema. Per rinascere, per andare avanti, rigenerarsi ancora una volta, il capitalismo, oltre a “bruciare” capitale, deve trovare altre via di uscita: i tagli alla spesa pubblica, l’annullamento di diritti conquistati in anni di lotte, le guerre. È emblematico il fatto che l’unico settore in cui la Grecia non ha dovuto/voluto fare dei tagli sia stato quello militare.
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Per uno spezzone metropolitano della ri/generazione precaria
La crisi ha un merito: fa comprendere che il mondo del lavoro e del non lavoro stanno sulla stessa barca, e che rischia di affondare. Operai, migranti, atipiche, partite Iva mono-committenti, studenti, disoccupate, tutte e tutti precari. E la precarietà è allo stesso tempo unificante e frammentata. Unificante perché è il modo attuale dello sfruttamento insito nel rapporto di lavoro, fatto di subalternità e ricattabilità. Frammentata, perché ognuno la percepisce in modo diverso. Come reagire? Le forme sindacali non sono adeguate e le proposte dei partiti politici “amici” (si fa per dire) fanno acqua da ogni parte. La cassaintegrazione è scambismo politico e sperequazione.
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Milano – Lunedì 26 Marzo al Liceo Carducci, Via Beroldo 9 (MM1 2 Loreto) ore 21 Assemblea metropolitana sugli obiettivi della manifestazione del 31 marzo: debito, lavoro, reddito, lotta alla precarietà, opposizione al governo Monti, difesa dei diritti, dei territori e dei beni comuni.
La contro-riforma del lavoro avanza a passo spedito, dietro la maschera di provvedimenti pseudo-tecnici. Ad esclusione del movimento No-Tav e dello sciopero della Fiom, non sembra ci sia qualcuno che alzi e provi ad opporsi ai velenosi frutti del governo Monti.
I dettagli allarmanti che trapelano dai mezzi di informazione prefigurano un peggioramento delle già precarie condizioni di tutte le lavoratrici e i lavoratori del nostro Paese. E ciò dopo che già era stato ridotto il livello delle pensioni e allungata l’età lavorativa. E’ la conferma finale che la precarietà e l’incertezza di reddito sono oggi le caratteristiche salienti del rapporto di lavoro, a prescindere da qualsiasi contratto o condizione professionale.
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