La
rassegna stampa che segue non ha certo la pretesa di essere esaustiva. Al
principio l’intenzione era quella di fornire un quadro ben più completo ed
ampio delle opinioni che concorrono nella costruzione della manifestazione
più ambigua e confusa che l’era della precarietà ricordi.
Invece,
nella selezione, ci siamo accorti che questa decina di contributi ( fra
articoli interviste ed altro ) sia abbastanza per mettere a nudo
molte delle pur numerose fantasie che questo evento sembra
catalizzare.
Allora
ci siamo convinti a trasformare questa rassegn/azione in un utile racconto
di una sinistra in rotta. Pensiamo che, ora come ora, fermare il turbinio
delle parole per focalizzarsi su alcune di esse, sospendendole nel tempo,
per poi liberarle nel momento opportuno, in altri momenti, in altri
contesti, sia opera necessaria per svelare quell’insieme di contraddizioni
– nel linguaggio, nell’analisi, nella prassi e nelle soluzioni – con cui
si cerca di esorcizzare più che di risolvere la “questione precaria”.
Perché in Italia che si voglia o no esiste una questione precaria.
Torneremo a breve con un’altra rassegna che cercherà di cogliere i nuovi
umori parlati derivanti dalla gioia per aver strappato una
finanziaria light, leggera come il formaggio philadelphia. A noi basta
chiederci per ora, chi è che nella sinistra interpreta kaori !?
Nell’intervista a
Giannini è doveroso evidenziare, al di là della visione
tutta politicista del 20 di ottobre, la frase "chi è
contrario alla manifestazione dimentica un testo antioperaio…."
riferito il protocollo welfare. Mamma mia!. Una sintesi e una
sincerità rare in questo momento travagliato: nella
sedicente sinistra radicale la questione della precarietà
viene letta al di là dei precari, della loro condizione e
del loro protagonismo. Un punto di vista conservativo che
riassume bene la sfiga del presente e la sconfitta del futuro.
Nell’interviste a
Cento e a Niccolosi invece si misura il corto respiro della
tattica adottata. Il corteo non è contro il governo perchè la
paura di farlo cadere è alta e attanaglia più la
sinistra che il centro della coalizione, mentre il voto della
consultazione sul protocollo è un’istanza di alta
democrazia e poco altro, poichè non c’è la
possibilità di una vittoria del No. Tutti ci tengono a
precisarlo, quasi a dimostrare il buon senso della propria posizione,
coerente verso i propri elettori e coerente verso la propria
coalizione. I relatori nelle assemblee dovranno attenersi alle
ragioni del sì, anche se contrari. Ma la democrazia viene
prima di tutto e che vogliamo farci se poi – e lo si dice anche
a chiare parole! – la massa del voto dei pensionati, incontrollabile,
sommergerà quella dei lavoratori.
Ma che idea
balzana è quella di andare al voto, in nome
di un amore fanatico per un concetto distorto
di Democrazia, quando questo non solo è scontato
(nel senso bulgaro del termine), ma si esprimerà
a due giorni dalle primarie che anticiperanno la mobilitazione del
venti ottobre? Quali sono le conseguenze di questa tempistica
degna di una nuova caporetto ? . Il primo è quello di chiudere
la sinistra sindacale e politica che si oppone alle politiche
del governo e al protocollo in un angolo a difendere gli
interessi particolari di alcuni lavoratori e in quell’
angolo, credeteci, ci rimarrà per l’eternità. Il
secondo è un effetto, diciamo, a trenino (inteso come gioco
sessuale) in cui l’unico che lo prende semplicemente in c*** è
l’ultimo: ovvero il precario.
Complimenti.
La cosa pazzesca è
che il tunnel della sconfitta invece di essere attraversato
velocemente viene arredato, per starci. Da una parte si dice che la
vittoria del sì, dovrà essere letta anche a seconda dei
risultati nelle grandi imprese. Ciò è vero, ma facciamo
notare che se il voto rappresenta un valore democratico in sé,
questo non farà altro che rafforzare il valore della
sconfitta. Non sarà la resistenza di nuclei seppur importanti
a fermare l’arretramento generale. Dall’altra invece si aprono
delle consultazioni precarie, in un’ottica fantasmagorica: si
prende atto delle caratteristiche un po’ raffazzonate della
consultazione, ci si infila gagliardamente, ma ci si fa stritolare
fra il suo portato simbolico e la sequenza di eventi che ricollocherà
questo portato nella visione ultra precarizzatrice del Pd .
Speriamo,
vogliamo, pretendiamo di essere smentiti dai fatti poiché ci
consideriamo tutto fuorché fanatici in ciò che diciamo
Nella quarta
intervista Revelli ci dimostra di aver capito la questione. Il
Pd reagisce alla crisi dei valori e dei riferimenti di un certo modo
di intendere l’essere di sinistra cambiando profondamente il
proprio DNA (la sintesi nella frase "crescita e
sicurezza" che noi traduciamo in "precarietà e
controllo"; controllo intesto come contenimento
degli effetti devastanti della precarizzazione non sulla vita
dei precari, dei migranti, degli ultimi – chi se ne frega
di questi! – ma su una società che non può
certo vivere sotto il ricatto di questi ostinati ostentatori
di miseria. C’è in gioco la crisi dei consumi, mannaggia).
La verità
è che, sì, la sinistra dovrebbe cambiare
geneticamente, evolversi per non morire. Il Pd lo ha fatto a suo
modo, in maniera opportunistica, coerentemente con la gioia che
il D’Alema prova nell’avanzare della finanza rossa, ricercando il
potere, in sè, per sé. Ma il resto della sinistra
avrebbe tutte le ragioni e tutte le motivazioni per adottare dei
riferimenti diversi e sperimentare nuovi conflitti;
condizione necessaria affinchè quelle
caratteristiche universali ed immutabili quali la volontà
di giustizia sociale, di eguaglianza, di emancipazione, di libertà
piena.e vera diventino motori attuali di una nuova civiltà di
sinistra
Questa mancanza di
coraggio e di prospettiva renderà la debacle del 20/10
drammatica preannunciando la fine della sinistra politica, per usare
sempre le parole di Revelli e per andare molto oltre le ragioni di
Revelli.
La successiva
intervista ad Alleva assume importanza proprio alla luce di quanto
sopra scritto. La lotta alla precarizzazione non è una lotta
che si può ridurre a provvedimenti tecnici, legislativi e men
che meno giuslavoristi. Leggere Alleva è leggere lo sconforto
di un’epoca della sinistra in cui una grande importanza
ricade sui correttori di bozze e non sui grandi interpreti
collettivi, quei soggetti sociali che sono, poi, i veri scrittori
delle pagine che narreranno il futuro di tutti.
In pratica si
lotta contro la precarizzazione senza tenere conto dei precari:
questo è il peccato originale che ci condannerà tutti
ad un futuro di sudore e fatica. A dir la verità come peccato
non è poi tanto originale: pare che qualche furbone, tanto
tempo fa, cercò di combattere la fabbrica senza considerare il
proletariato come l’interprete principale di questo scontro. Chissà.
Un’altra parte
della rassegna riguarda lo strappo Fiom. Fiom la strappona, è
il titolo che abbiamo scelto. Uno strappo affascinante ma come accade
nella vita qualsiasi bellezza può essere rovinata da una
consapevolezza esasperante di questa beltà. Quanto è
importante questo strappo?! Che significato porta in sé ? A
leggere Loris campetti e l’editoriale di Polo pare che il
tutto vada letto come esercizio di democrazia e coerenza. Alla
coerenza dell’immobilismo preferiremmo il coraggio del
cambiamento, alle democrazia della forma ci piacerebbe sostituire
quella della partecipazione e del conflitto. Una visione ci assilla:
gli operai e i precari alleati contro le imprese, il
neoliberismo e la precarizzazione. Di questo si è parlato con
Cremaschi nell’incontro di una settimana fa, di questo si
parlerà nel circolo di incontri "a ruota libera".
Stay tuned
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