Sì, la Mayday sorprende sempre: sotto una pioggia costante, insistente, più volte torrenziale, la Mayday del 2012 non si svuota, non si placa. Decine di migliaia di persone partono da Porta ticinese sotto una pioggia pesante, che diventa diluvio. Ma il corteo non si svuota. Balla, gioisce, risponde con boati agli interventi che partono dai cinque carri del primo maggio precario. Evadi dal ricatto, invadi le strade! e Ci vogliono precari, ci avranno ribelli! sono gli slogan che riecheggiano tra le migliaia di precari e precarie che hanno dato vita alla Mayday.
Le parole d’ordine sono chiare. Rappresentano quello che chiamiamo “il punto di vista precario”. Reddito di base incondizionato, cittadinanza per i migranti (abolizione Bossi-Fini e Turco-Napolitano) e diritti, nel lavoro e oltre il lavoro: a lavoro stabile deve corrispondere un contratto stabile, e poi maternità e paternità, malattia, infortunio, riduzione delle tipologie contrattuali, salario minimo orario, separazione tra previdenza e assistenza, accesso alla cultura, ai saperi, alla mobilità sostenibile.
Inoltre la Mayday di Milano si colloca all’interno di quel ciclo, dalle Mayday nelle città europee e canadesi allo sciopero negli Stati uniti, che arriverà alla grande mobilitazione di Francoforte contro la crisi, i banchieri, e la Bce il 19 maggio passando per una miriade di azioni/cortei/adunanze globali come quelle del 12, e del 15 maggio in Spagna e in Catalogna dove il movimento Democracia Real Ya riprenderà parola. Una Mayday globale, radicata nei territori e che esprime la propria totale opposizione alle politiche del governo e delle amministrazioni locali, dalla riforma del lavoro alle grandi opere.
Già dal mattino la rete Mayday si era mossa per ribadire che il primo maggio non si lavora. Centinaia di flyers sono sbucati dagli scaffali dell’Iper Portello di Milano, tra bagnoschiuma e melanzane, con la scritta “tu libero di consumare, in molti costretti a lavorare” mentre gli attivisti esprimevano solidarietà ai “lavoratori consumati” e chiedevano ai “liberi consumatori” di non acquistare rendendo non-vantaggiosa la scelta di aprire il primo maggio. Al Carrefour di Varese intanto i carrelli sono stati simbolicamente sigillati con enormi lucchetti di cartone, “mandiamoli in perdita guadagniamo un diritto” il refrain dell’ incursione varesina, che sottolineava come i lavoratori sono stati chiusi a chiave dalle liberalizzazioni di Monti a passare il primo maggio dietro scaffali e casse.
Al pomeriggio, la Mayday è stata trainata sotto al diluvio universale da cinque carri: per primo il carro del Foa Boccaccio di Monza che raccoglie le realtà in lotta nei luoghi di lavoro e le campagne per i diritti. Le cooperative degli educatori e degli operatori sociali, gli operai delle fabbriche in lotta, contro la chiusura e le cassaintegrazioni, i rilevatori del censimento Istat, i precari del comune di Milano (Pisapia che delusione, non è una piazza concessa che ti salverà!), della scuola, dei lavoratori della conoscenza, e tanti altri. Un magma infinito costituito da “atipici” che invece oggi sono di fatto la norma. E tutti chiedono reddito, diritti e cittadinanza.
Segue il carro dei territori animato dalla Fornace, dal comitato NoExpo, dallo spazio Piano Terra, dai NoTem, che si oppone alle devastazioni e invita al climate camp, luogo di progettazione concreta, sostenibile e alternativa che si oppone alle speculazioni. Si insiste su un punto cardine: non si tratta “solo” di avere una sensibilità ambientalista. La precarizzazione dei territori e la precarizzazione delle nostre vite vanno di pari passo. Ci costringono a vivere secondo comportamenti codificati, inseriti in una trama metropolitana costruita a immagine e somiglianza dei valori del consumo, della competizione, della velocità e dell’individualismo. Ragazzi e ragazze con le pettorine fluorescenti chiedono che il diritto alla mobilità venga garantito sul serio ai precari e alle precarie, a prezzi accessibili. Non era una promessa della giunta?
E poi il carro di Zam, Lab Aut, Rete studenti, collettivo Lambretta e Ambrosia, che insiste sul maggio globale di lotte, sull’appuntamento di Francoforte e che per tutta la giornata ha attaccato simbolicamente le aziende della precarizzazione: la Cmc alla torre Velasca che ha le mani in pasta nei cantieri Tav e Tem; l’Inps per rivendicare reddito per studenti e precari, e Unicredit in Cordusio, banca protagonista nei maneggi finanziari e nella creazione della crisi.
Il Leoncavallo insiste sulla continuità fra la vecchia e la nuova civiltà dei diritti. “Oggi tutela articolo 18 domani reddito di cittadinanza” recita uno striscione steso sotto un enorme tritacarne di cartapesta targato Bce, Monti, Fmi nel quale vengono macinati cultura, saperi, sanità, diritti, art 18 e da cui escono banconote.
Infine il carro della Cub si concentra sulla riforma del mercato del lavoro e sul lavoro migrante. I migranti precari fra i precari, la la cui esistenza è legata a un permesso di soggiorno, vincolato a sua volta a un contratto lavorativo. Lo scambio è implicito: se subisci tutto e fai lo schiavo ti tolleriamo, altrimenti ti espelliamo. Quale ricatto più infame poteva inventarsi questa società? Quando si accorgeranno gli italiani che queste leggi – Bossi-Fini e Turco-Napolitano – precarizzano tutti/e e che prendersela con i migranti è fuorviante?
Il primo maggio precario avrebbe dovuto concludersi con una grande assemblea – l’agorà Mayday – che il maltempo ha impedito. Assemblea nella quale si dovevano mandare i contributi delle altre Mayday globali e della manifestazione di Pioltello contro l’Esslunga e le cooperative dello sfruttamento. Ci siamo riusciti solo in parte. Poco male: un movimento transnazionale, per i diritti universali, contro il neoliberismo sta prendendo piede e non sarà un piccolo acquazzone a fermarlo. Avremo mille altre occasioni per connettere le lotte globali e quelle locali!
Altra piccola nota: dopo dodici anni la Mayday parade a nostro avviso chiude il suo ciclo. L’aver costruito un punto di vista (autenticamente) precario. La consapevolezza che noi precari e precarie siamo portatori di interessi specifici, non riconducibili a quelli tradizionalmente sbandierati dai sindacati. Aver organizzato delle strutture di mutuo soccorso concrete, diffuse, efficaci, di massa, capaci di agire nella precarizzazione in modo nuovo e vincente (anche se non sempre in modo puntuale visto la limitatezza delle risorse materiali). Il fatto di essere percepiti come un’alternativa credibile alle istituzioni tradizionali del sindacato, come ormai ci dimostra la quotidianità. Tutto ciò ci pone di fronte a nuove sfide che la Mayday del prossimo anno dovrà affrontare, mutando all’occorrenza profondamente la propria pelle, ma non il proprio senso.
Vi aspettiamo all’assemblea per immaginare e preparare la Mayday 2013 il 22 gennaio dell’anno prossimo, al Piano Terra, in via Confalonieri 3 a Milano
Mayday Mayday!
[…] ammettono diversi dirigenti dell’Anagrafe. I fondi anticrisi, annunciati due giorni dopo la MayDay, il 1 maggio precario che ha visto la partecipazione di oltre 15mila cittadini nonostante il […]
“Ci vogliono precari, ci avranno ribelli! sono gli slogan che riecheggiano tra le migliaia di precari e precarie che hanno dato vita alla Mayday.”
ragazzi complimenti per la manifestazione, ma mi sento di dire che non serve a molto.
ciò che serve è uno sciopero generale, nazionale, di tutti i precari e protratto per diversi giorni. e riproposto a più riprese se necessario.
queste manifestazioni così sporadiche non servono purtroppo.