(del 20 dicembre 2004, Espresso)
Spero che Prodi non prometta il salario di ingresso ai nostri giovani. Che hanno bisogno di solidarietà ma anche di verità e di severità. Che Babbo Natale è morto e san Precario non è in grado di sostituirlo
Noi anziani comandiamo in Italia, ma non sappiamo nulla dei giovani che, prima o poi, ci seppelliranno. A volte ignoriamo tutto anche dei nostri figli. Mi hanno colpito certi dettagli dell’omicidio del benzinaio di Lecco e della cattura dei due ragazzi che l’hanno ucciso, di 18 e di 17 anni. Il padre di uno di loro ha raccontato che, la sera del delitto, il figlio era tornato a casa alla solita ora, tranquillo, normale come sempre. E che non appena la tivù parlava dell’assassinio, si rintanava in camera a giocare con la playstation. Quando gli hanno detto che il ragazzo era andato a comprare la rivoltella a Milano, sapendo bene dove cercare e chi contattare, il papà ha risposto: “Noi non ci siamo mai accorti di niente”.
Anche i partiti non si accorgono di nulla, se si tratta di giovani. E la stessa cecità affligge noi dei giornali. Ne parliamo e ne scriviamo tanto, ma come di mondi alieni. E loro ci ripagano con la stessa moneta. Le generazioni che via via si affacciano all’età del voto hanno un sostanziale disinteresse per la politica. Tanto che più del 50 per cento di chi ha meno di trent’anni non sa chi scegliere. Silvio Berlusconi si affanna ad arruolare mille giovani ‘mercenari’, un plotone irrisorio in una guerra stellare. E i cronisti presenti all’esordio di Romano Prodi al Palalido di Milano hanno testimoniato che, tra i seimila presenti, i ventenni erano ben pochi.
In quel sabato milanese, il sessantenne Prodi ha dedicato ai ragazzi una parte importante del suo discorso. Però quasi nessun giornale l’ha riferita nei dettagli. Prodi ha ricordato che “per la prima volta dal dopoguerra, oggi i giovani stanno peggio dei loro genitori e hanno meno speranze di quante ne avevamo noi alla loro età”. Da che cosa partire per rendere meno incerto il loro futuro? Prodi ha risposto: “Io dico scuola, scuola e poi ancora scuola per tutti”.
Come si fa a non essere d’accordo? Certo, tre volte scuola, ossia istruzione, cultura, sapere. Però questa ricetta può bastare? Oggi moltissimi ragazzi vanno a scuola, e se l’abbandonano è quasi sempre per loro scelta o perché gli imprevisti della vita li obbligano a lasciare. Anche le università sono strapiene. Per troppe famiglie un figlio senza laurea è diventato un disonore. E spesso la scelta della facoltà non tiene conto degli sbocchi professionali possibili. Ci sono centinaia di migliaia di iscritti a corsi universitari che hanno come esito sicuro la disoccupazione. Pazienza, dicono i genitori: ci sarà sempre il rifugio di qualche call-center.
Ma allora non sarebbe meglio prendere un’altra strada? Ossia fare di tutte le facoltà universitarie dei luoghi di eccellenza, con sbarramenti spietati e selezioni severissime. Da compensare con rette irrisorie e robuste borse di studio per dei ragazzi che saranno un patrimonio del paese. Insieme si potrebbe immaginare un sistema scolastico che inserisca i giovani anche in professioni che non prevedano la laurea. Lo dico alla Bestiario: per imparare a fare l’idraulico, l’elettricista, il falegname. Mestieri più dignitosi che ciondolare nelle aule di Scienze della comunicazione, di Psicologia, di Pedagogia.
Dovremmo dire ai nostri figli e ai nostri nipoti che, nel mondo d’oggi, per tanti gatti non c’è più la trippa di cui abbiamo goduto noi. Che il posto fisso è una chimera e la concorrenza enorme. Che lo Stato, da solo, non potrà più dargli la pensione. Che Babbo Natale è morto e san Precario non è in grado di sostituirlo. E che la loro esistenza sarà un percorso di guerra, dove ciascuno dovrà arrangiarsi da solo, perché i famigliari compassionevoli presto o tardi se ne andranno.
“Arrangiati!” è stata la parola d’ordine per noi ormai anziani. Dobbiamo ricordarlo ai nostri ragazzi. Che hanno bisogno di solidarietà, ma anche di verità e di severità. Per esempio, dire la verità impone di riconoscere che la proposta di Walter Veltroni d’introdurre un reddito minimo d’inserimento per i giovani da avviare al lavoro (vedi la lettera a Prodi sull’ultimo numero de ‘L’espresso’) in Italia è pura utopia. Chi lo pagherebbe? Lo Stato ormai in bolletta? La Confindustria? I comuni? Da elettore del centro-sinistra, spero che Prodi non lo prometta, perché non riuscirebbe mai a mantenerlo.
Insieme alla verità, bisogna rimettere all’onor del mondo la severità. Talvolta con un pizzico di sacrosanta cattiveria. Si sa come vanno le cose: il mercato dei partiti offre soltanto diritti, mai dei doveri. Però guai a non ricordare ai giovani che un buon futuro si costruisce con il sacrificio, la fatica, le rinunce, l’esercizio della responsabilità e a volte con la cinghia tirata. Molti ragazzi italiani già lo sanno. Ma molti altri ancora s’illudono. E vengono illusi dai genitori. Non è soltanto il Mago di Arcore a far luccicare un Paese dei balocchi che non esiste. Siamo in tanti a imitarlo, anche a sinistra. Senza renderci conto che, in questo modo, qualsiasi società si spappola, preparando la propria fine. .
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