Il Manifesto – 21 luglio 2010
Roberto Ciccarelli
«Il disegno di legge Gelmini sull’università è inemendabile. Va solo ritirato. Questo dovrebbero dire domani le opposizioni in Senato – afferma Domenico Pantaleo, segretario della Federazione dei lavoratori della conoscenza (Flc) della Cgil – Bisogna proporre un modello radicalmente alternativo contro il progetto del governo che mette in competizione gli atenei, ridimensiona il ruolo dei Senati accademici, accentra il potere nelle mani dei rettori, cancella la ricerca dall’università, oltre che il diritto allo studio».
È una critica al Pd che ha comunque promesso di dare battaglia in  Senato?
 Non voglio insegnare nulla alla politica, né la politica ha qualcosa da  insegnare al sindacato. Che il Ddl sia inemendabile lo dicono i  ricercatori che si asterranno dalla didattica non obbligatoria il  prossimo anno accademico, gli studenti, la parte più avveduta dei  docenti e molti organi accademici che si sono espressi in questo senso. 
 I sostenitori della riforma Gelmini sostengono che sono tutte persone  che difendono lo status quo dell’università…
 Dobbiamo intenderci su cosa significa «status quo». Per me è quello che  vuole fare un governo che non ha alcuna intenzione di sbarrare la strada  alle baronie e anzi impone il blocco del turn-over contro i giovani  ricercatori e rende inutile il proposito della Gelmini di abbassare  l’età pensionabile dei docenti a 65 anni. Sono d’accordo con la  battaglia contro gli sprechi nella scuola e nell’università, ma per  essere davvero efficace bisogna eliminare il sistema clientelare e  reinvestire tutti i risparmi nella didattica e nella ricerca, nei  programmi e nel diritto allo studio.
È possibile che il governo accetti di rifinanziare l’università dopo  l’approvazione della riforma?
 È così, ma questo paradigma dev’essere ribaltato. Approvare il Ddl non  significa che verranno ritirati i tagli al fondo ordinario di  finanziamento degli atenei che nel 2011 sarà di un altro 17 per cento. I  tagli che Tremonti ha imposto alla Gelmini produrranno la deflagrazione  del sistema. Il prossimo anno 37 atenei non riusciranno a chiudere il  bilancio. 
L’opposizione alla riforma cresce ma è ancora frammentata. La Crui ha  una posizione debole in attesa di segnali dal governo. Non c’è il  rischio che in autunno la mobilitazione resti isolata?
 È un rischio evidente. Il nostro problema non è solo quello di costruire  un movimento in autunno, ma di evitare la sua corporativizzazione. Per  questo abbiamo bisogno di una seria interlocuzione con la politica che è  mancata due anni fa durante il movimento dell’Onda. L’autonomia dei  movimenti è importante, ma non basta se non coinvolge la società.
Cosa proponete di fare quando il Ddl arriverà alla Camera e incrocerà la  nuova finanziaria?
 Non possiamo più giocare di rimessa, dobbiamo proporre un’alternativa  radicale. Per farlo c’è bisogno di unificare le lotte dei ricercatori  con quelle degli studenti, degli enti di ricerca, dei precari e dei  genitori nella scuola in un percorso collettivo. 
 Stiamo lavorando per convocare gli stati generali della conoscenza a  Roma per fine ottobre. Il nostro obiettivo è creare un’alleanza sociale  in cui il sindacato sia una parte importante, ma solo una parte. 
Questa agenda l’avete proposta l’anno scorso quando avete convocato  un’assemblea con i ricercatori precari alla Sapienza, ma non sembra  avere avuto molto seguito nella Cgil…
 Se non sostiene un altro modello di welfare, di sviluppo e di lavoro, il  sindacato rischia di condannarsi all’inifluenza. Non abbiamo  alternative. 
 Nella società esiste un largo consenso sul fatto che i saperi e la  conoscenza siano l’unico strumento per uscire dalla crisi. In più  costituiscono un fattore per sradicare l’antropologia del berlusconismo.  La lotta contro la precarietà, per il reddito, per un nuovo welfare e i  beni comuni sono il fondamento di un nuovo progetto sociale.
La grande maggioranza dei lavoratori della conoscenza sono  intermittenti, lavorano a progetto o in autonomia, pochi saranno  stabilizzati, gli altri no. Per difendere queste persone non c’è bisogno  di un salto culturale anche da parte del sindacato?
Dobbiamo  impegnarci su entrambi i fronti. Al lavoro cognitivo però devono essere  riconosciute le garanzie contro tutte le forme di precarietà, ma anche  la dignità sociale. Per farlo è necessario creare un sistema del welfare  universale e non solo lavoristico che garantisca a tutti un sostegno  indipendentemente dal lavoro svolto, ma che serva ugualmente ad  accompagnare verso un lavoro. Solo così questo paese riuscirà a dare una  risposta alla disperazione esistenziale delle nuove generazioni.








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