Corriere.it – 14 settembre 2010
I malumori degli «invisibili»: il confronto sul lavoro? Solo per chi ce l’ha già. E lo Statuto non arriva
Per le partite Iva è sempre Pomigliano
Sarà solo una questione di punti di vista ma al popolo delle partite Iva tutto il battage che si è fatto e si sta facendo sul caso Pomigliano non va proprio giù.   Un economista osserverebbe che si ripropone nel dibattito pubblico e  sul mercato del lavoro la divaricazione (anche psicologica) tra insider e  outsider, un cronista racconta i discorsi che sente fare. Che  inevitabilmente battono su considerazioni («ma alla fine quanti sono i  lavoratori metalmeccanici delle grandi imprese italiane?») contrapposte a  una realtà, per l’appunto, del mercato del lavoro dove abbondano le  partite Iva con mono-committenza, «che lavorano di fatto per un solo  padrone senza poter accampare diritti e tutele».  Pomigliano o no, è  evidente che mentre le nuove assunzioni avvengono tramite contratti a  progetto, lavoro a tempo determinato, stage e lavoretti vari,  l’attenzione dei decisori resta puntata sulle grandi fabbriche e sui  conflitti più o meno ideologizzati tra Confindustria e Fiom-Cgil. I duri  rubano la scena ai tanti e il patto sociale di cui si va almanaccando  riguarda comunque alla fin fine una minoranza di lavoratori. È come se  Cipputi si fosse preso la vendetta sui suoi nipotini e su quanti ne  avevano proclamato l’estinzione. «Nel frattempo noi restiamo nell’ombra e  siamo costretti a competere persino con il lavoro gratuito — denuncia  Alfonso Miceli di Acta, l’associazione dei consulenti del terziario  avanzato —. Le aziende fanno sempre più ricorso a stage post-curriculari  di sei mesi non retribuiti. Oppure chiamano dei pensionati. È chiaro  che gli spazi si chiudono e la competizione è al ribasso». La diffusione  degli stage non pagati è così ampia che è nato un sito che raccoglie i  giudizi dei giovani dopo l’ esperienza fatta nelle varie aziende.  L’obiettivo è sconsigliare quelle che-ti-fanno-perdere-solo-tempo.  Ma  cosa riserva alle partite Iva l’anno di business che si è appena aperto?  Quali sono le novità che ci si possono attendere a livello di mercato e  di nuove norme? Sul piano delle occasioni di mercato tutti segnalano  pessimisticamente il taglio delle consulenze da parte della pubblica  amministrazione, mentre sul versante privato la ripartenza delle aziende  ancora non si è vista. O per volere essere ottimisti, ancora non si è  dispiegata.
C’era, poi, molta attesa per lo Statuto dei lavori promesso dal ministro Maurizio Sacconi. È assai difficile però che nel testo governativo ci possano essere novità e ricadute per le  partite Iva. A quanto si capisce, alla fine la discussione si  polarizzerà inevitabilmente sulla derogabilità delle norme già vigenti,  investirà poco o tanto il tema dell’articolo 18 e punterà a produrre un  avviso comune governo-sindacati. Ma i protagonisti saranno, come sempre,  Cgil-Cisl-Uil e il lavoro dipendente, non certo gli autonomi. È  possibile che qualche norma alla fine disciplini la figura dei co.co.co.  prevedendo maggiori tutele normative, il grosso della discussione però  riguarderà ancora una volta il nocciolo duro degli insider. È inutile  farsi illusioni.  Le associazioni delle partite Iva non si stancano di  sottolineare l’iniquità dei versamenti per la gestione separata  dell’Inps, che sono arrivati al 26,73% del fatturato. Con il sistema  degli anticipi, sostengono, si finisce per pagare in base agli anni  precedenti la Grande Crisi, periodi in cui si era guadagnato di più.  «Molti di noi non sono in grado di pagare e devono ricorrere a un  prestito bancario oppure scoprire che a fronte del ritardato pagamento  ci sono multe che arrivano al 75% dell’importo dovuto. Lo Stato ci  costringe a pagare per assicurarci un futuro ma ci impedisce di  sopravvivere nel presente» sottolinea polemicamente Miceli. Il  contenzioso con l’Inps riguarda anche le proiezioni sull’ammontare della  pensione da riscuotere a fine attività. Acta insiste perché, come si fa  in Svezia, l’Inps fornisca ai contribuenti della gestione separata un  range di previsioni ma pare un dialogo tra sordi e quindi nessun  cambiamento in vista, almeno a breve. Anche l’Irap fa parte del cahier  des doleances: i lavoratori autonomi che non dispongono di una struttura  organizzata non dovrebbero pagarla ma poi le cartelle esattoriali  arrivano, partono le cause con l’Agenzia delle Entrate e alla fine  comunque, anche in caso di vittoria del contribuente, le spese legali  non vengono recuperate. Così in tanti preferiscono rateizzare ed evitare  di far causa.
La novità che potrebbe maturare sul delicatissimo terreno  previdenziale riguarda il ruolo delle Casse professionali già esistenti, che potrebbero ampliare il loro raggio d’azione fino alle partite Iva. È  sicuramente un’ipotesi interessante, tutta però da costruire in una  logica che gli esperti definiscono di «welfare di mutualità». È anche  vero che il sistema delle Casse necessita — già a bocce ferme — di una  verifica del funzionamento e di una riorganizzazione complessiva, forse  di un accorpamento. Non si occupa delle Casse ma tenta di ridisegnare il  sistema pensionistico dei lavoratori autonomi il disegno di legge  bipartisan preparato da due parlamentari molto competenti, come Giuliano  Cazzola (Pdl) e Tiziano Treu (Pd) e fermo nei due rami del Parlamento  in attesa di una calendarizzazione. Non ci sono commenti ufficiali di  parte governativa sul testo ma secondo indiscrezioni il ministro Sacconi  lo considera molto oneroso per i conti pubblici.  L’ex ministro Treu ha  lavorato con continuità e con aggiornamenti successivi anche a uno  Statuto del lavoro autonomo. Il testo finale presentato in Senato e  anch’esso in attesa di essere assegnato alla commissione Lavoro di  palazzo Madama, è molto apprezzato da alcune associazioni professionali  come il Colap. Conferma il presidente Giuseppe Lupoi: «Posso dire che il  progetto Treu è molto vicino alla nostra posizione».
Uno dei punti chiave è il ruolo delle associazioni. «Vanno riconosciute ancora prima delle nuove professioni — sostiene Lupoi —. Se avvenisse il contrario avremmo creato tanti  nuovi ordinicchi e noi non li vogliamo». Le professioni, del resto, sono  in rapida evoluzione e quello che dieci anni fa avremmo definito  «informatico», oggi cosa fa davvero? Oppure analizziamo i mestieri del  web e avremo la dimostrazione di come siano poco riconducibili a singole  figure come il comunicatore, il giornalista o il softwarista. Non tutte  le associazioni sono però favorevoli ad accentuare il loro ruolo. Per  Acta, Anna Soru mette in guardia da quello che definisce «un assetto  corporativo» in cui le associazioni finiscono per intermediare funzioni  prerogativa dello Stato. È giusto, invece, che le organizzazioni  certifichino la qualità ma il consulente e la partita Iva che scelgono  di non tesserarsi non devono essere in nessun modo penalizzati.  Pur  apprezzando il dibattito interno all’associazionismo c’è da dire che il  vero problema appare quello dello slittamento delle soluzioni e del  congelamento dei problemi. L’agenda politica non pare aver intenzione di  mettere veramente al centro dell’attenzione nessuno dei progetti  menzionati. Le partite Iva restano condannate all’invisibilità. Ci sono  persino dubbi che le proposte di Cazzola e Treu arrivino in un tempo  utile alla discussione parlamentare e le variabili politico-generali non  sono certo favorevoli. La legislatura è considerata appesa a un filo e  «l’ultima cosa che pensa la maggioranza è occuparsi di queste cose»  accusa lo stesso Treu dal suo scranno di senatore dell’opposizione
Dario Di Vico