FIOM e lo strappo

Dal
manifesto e dal corriere settembre 2007

1) I metalmeccanici non
approvano Manifesto 12/9/07

2)
L’ esecutivo e lo strappo di Rinaldini I TAMBURI DELLA FIOM13
settembre, 2007 Corriere della Sera

3)
il Leader Epifani: ora il chiarimento I metalmeccanici non sono un
sindacato a parte 13/9/ 2007 Corriere

4)
RETROSCENA Svolta movimentista delle tute blu La parola «scissione»
non fa paura 12/)07 Corriere


1) I
metalmeccanici non approvano

Il
comitato centrale della Fiom volta all’80% contro il protocollo del
governo. Le critiche di Epifani
«Per i contratti a termine e
sullo staff leasing siamo alla conferma della legge del governo
precedente sempre osteggiata dalla Cgil». Giudizi negativi
anche sulla parte pensionistica

Loris
Campetti

Un
evento previsto, non per questo meno dirompente. Per la prima volta
nella storia della Cgil una categoria, per di più importante
come la Fiom che è il maggior sindacato industriale italiano,
esprime un voto negativo su un accordo siglato da Cgil, Cisl e Uil.
Non è la prima volta che i meccanici assumono posizioni
diverse dalla propria confederazione. Come dimenticare la
manifestazione contro la precarietà del 4 novembre 2006, in
cui sventolavano le bandiere della Fiom e non quelle della Cgil?
Oppure, andando indietro nel tempo, quando il segretario dei
metalmeccanici era Claudio Sabattini, al G8 di Genova 2001, un giorno
dopo l’uccisione di Carlo Giuliani: la Fiom c’era. D’altro canto, lo
stesso statuto della Cgil garantisce il diritto d’espressione del
dissenso e questo fa dire a Gianni Rinaldini che «sarebbe
paradossale interpretare una diversa valutazione di un accordo come
una rottura della Cgil. Non sottovaluto il significato politico e
sindacale del nostro voto, ma restiamo con i piedi per terra. Nel
documento finale votato dalla stragrande maggioranza dei membri del
comitato centrale è scritto che applicheremo rigorosamente le
modalità definite dagli esecutivi Cgil, Cisl e Uil convocati
per domani (oggi per chi legge, ndr). Chi va a fare le assemblee con
i lavoratori, a partire dal sottoscritto, ha il dovere di
rappresentare il protocollo e la posizione di Cgil, Cisl e Uil»,
ci dice il segretario generale della Fiom.
Due giorni di
dibattito, un’attenzione altissima, decine di interventi e infine le
conclusioni di Rinaldini e il voto su due documenti contrapposti: il
primo della maggioranza Fiom in cui «non si approva l’intesa»
ha raccolto 125 voti favorevoli, il secondo presentato da Fausto
Durante e sostenuto dalla minoranza della Fiom che condivide le
valutazioni della maggioranza della Cgil ne ha raccolti 31. 3 gli
astenuti. I rapporti di forza congressuali sono confermati fino
all’ultimo voto, nonostante l’appello del segretario generale della
Cgil, Guglielmo Epifani che lunedì aveva preso la parola per
sostenere nel merito e nel contesto politico («le condizioni
date») la validità dell’accordo e chiamare i meccanici
alla loro responsabilità. In piene facoltà il gruppo
dirigente Fiom ha respinto il protocollo, sia sul versante
pensionistico (pur valutando positivamente l’incremento delle
pensioni basse) che su quello del mercato del lavoro. La critica
riguarda l’assunzione dei vincoli di spesa quasi fossero un dato
oggettivo, fatto che neutralizza persino gli aspetti positivi
dell’accordo (solo 5 mila lavoratori «usurati» potranno
uscire annualmente con le vecchie regole, 35 anni di contributi e 57
anni di età). Poco si salva sotto il titolo welfare-mercato
del lavoro: «Per i contratti a termine e sullo staff leasing
siamo alla conferma della legge del governo precedente sempre
osteggiata dalla Cgil». La riduzione del peso fiscale sugli
straordinari «è un preoccupante incentivo all’aumento
dell’orario di lavoro, mentre la detassazione del salario aziendale
totalmente variabile indebolisce la contrattazione collettiva e, in
particolare, il contratto nazionale».
Giorgio Cremaschi, nel
chiedere «tantissimi no in tutti i luoghi di lavoro», ha
sostenuto che la Cgil con il governo Prodi ha firmato quello contro
cui si era battuta durante il governo Berlusconi, e cioè il
Patto per l’Italia. Il leader della Rete 28 aprile condivide dunque
la scelta del comitato centrale, rivendicando «la difesa dei
valori in cui si crede e per cui la Fiom si è sempre battuta».
Di parere opposto Durante, il cui documento a favore del protocollo
non va oltre il 21%: «Il voto conferma una mia preoccupazione
sulla china presa dalla Fiom, dopo l’adesione sbagliata alla
manifestazione del 4 novembre sulla precarietà e le tesi
alternative al congresso confederale. Una china che può avere
conseguenze nel rapporto con la Cgil, insomma rischiamo di diventare
un’organizzazione che sempre meno si riconosce nella Cgil». Nel
comitato centrale non si è discusso della manifestazione del
20 ottobre, «ma siccome moltissimi dirigenti della Fiom vi
hanno aderito io voglio dire che la ritengo sbagliata», ci dice
ancora Durante.
Oggi si terrà la riunione degli esecutivi
di Cgil, Cisl e Uil per definire le regole che governeranno la
consultazione dei lavoratori dipendenti, precari e pensionati. Non
dovrebbero emergere novità rispetto a quanto si è già
appreso dopo l’incontro tra i segretari generali delle
confederazioni: voto segreto e certificato, al termine di una
massiccia tornata di assemblee in tutti (si spera) i posti di lavoro.
A ogni assemblea un unico relatore per portare la posizione,
favorevole al protocollo, di Cgil, Cisl e Uil. L’accordo, ha
specificato ieri Epifani, «per la sua ampiezza e complessità,
va valutata assumendo una logica di confederalità che non
ritrovo nella scelta del comitato centrale Fiom».
La
politica ha appreso con atteggiamenti opposti il voto della Fiom. Il
presidente Prodi ribadisce l’importanza della firma di Cgil, Cisl e
Uil e ritiene legittima quanto scontata una posizione di minoranza.
Idem il ministro Cesare Damiano, per il quale quel che conta è
la firma delle confederazioni e il voto di milioni di lavoratori e
pensionati. Piero Fassino non è toccato dal voto negativo
della Fiom e svela una vera passione per la base, i lavoratori, che
naturalmente voteranno come confederazioni, buon senso, politica e Pd
comandano. Applausi al voto della Fiom arrivano invece da due sponde
opposte: Prc e Pdci da un lato, destre dall’altro che colgono
l’occasione per attaccare le divisioni e dunque la debolezza del
governo.

Il
voto della fiom apre un’opportunità politica, ma è
proprio necessario richiudere quest’opportunità all’interno
di un quadro perdente come la nascit della cosa rossa, proiezione
quasi conservativa e sempre più debole di una società
diversa.

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2)
L’ esecutivo e lo strappo di Rinaldini I TAMBURI DELLA FIOM

13
settembre, 2007 Corriere della Sera

 

Due
cose vanno dette subito. La legge Biagi è servita in Italia,
al pari di altre misure, a combattere la disoccupazione facendola
scendere al Nord al 3-4%, un livello giudicato fisiologico dagli
esperti. L’ insieme delle intese di luglio, contestate dalla Fiom,
non solo non paiono apportare un vulnus alle relazioni sindacali, ma
hanno anzi determinato uno stanziamento quantificato dal ministro
Cesare Damiano in 38 miliardi di euro. Che saranno spesi nei prossimi
dieci anni a favore di pensionandi, pensionati e giovani. Nonostante
queste ed altre considerazioni di buon senso, sbaglierebbe – anzi
sbaglia – il governo a prendere sottogamba la rivolta del sindacato
metalmeccanico della Cgil che punta a far saltare quell’ accordo. La
Fiom è un’ organizzazione di tutto rispetto. Vanta un bagaglio
culturale che affonda nelle grandi eredità del Novecento e ha
saputo traghettarlo nel nuovo secolo grazie a un gruppo dirigente
determinato, mezzi finanziari significativi, un numero consistente di
attivisti a tempo pieno e una buona capacità di influenzare i
giornali della sinistra. Storicamente la Fiom ha avuto tra le sue
fila i militanti più motivati, più gelosi dell’
identità dell’ organizzazione e del suo patrimonio culturale.
Ma non è un museo. Il sindacato guidato da Gianni Rinaldini ha
saputo investire, più di altri, per essere presente e
credibile agli occhi di quel «mercato della protesta» da
tutti segnalato in crescita. I giovani del Nordest e delle altre zone
ricche del Paese che sono finiti in fabbrica (ma non l’ avrebbero
voluto) hanno garantito alla Fiom nuove simpatie e un significativo
ricambio generazionale. E le hanno consentito di perpetuare la natura
di centauro, metà movimento politico metà sindacato. Se
la Cgil, come pare, saprà reagire allo strappo e le parole di
Guglielmo Epifani nell’ intervista di oggi al Corriere lo fanno
presumere, l’ exploit di Rinaldini e compagni potrebbe anche non
portare a esiti clamorosi. Ma per il governo rappresenta comunque uno
schiaffo: è un’ altra fetta di Paese che volta le spalle al
centro-sinistra e insegue le proprie suggestioni. Era stato già
così per i ceti medi produttivi che si erano sentiti tagliati
fuori dalle scelte di politica economica e fiscale dell’ esecutivo.
Si era ripetuto, anche se non in forme esasperate, con gli
imprenditori che hanno via via maturato l’ idea che questo governo
non li abbia aiutati fino in fondo, prima a creare i presupposti
della ripresa e poi a cercare di renderla non effimera. Ma con i
metalmeccanici è tutto un altro film, non stiamo parlando di
figure sociali a cavallo tra i due schieramenti e naturalmente
disposte ad ascoltare il canto delle sirene di centro-destra, stiamo
discutendo di qualcosa che ha rappresentato per lungo tempo il core
business della sinistra. Ma si obietterà: Romano Prodi,
proprio per non correre rischi su quel lato, non aveva stretto un
patto di ferro con Rifondazione? Non aveva accettato di sacrificare
l’ agnello riformista pur di non mettere a repentaglio la
collaborazione con i ministri di Bertinotti? E infine, lo stesso
Prodi non aveva fatto della «redistribuzione» un cavallo
di battaglia, un argomento polemico nei confronti di imprenditori ed
élite da usare per tenere aperto il dialogo con il Paese
reale? E’ vero ma tutto è stato giocato in chiave meramente
tattica. Se quell’ alleanza deve continuare va anch’ essa rifondata
con un nuovo progetto condiviso. Il vecchio collante delle 281 pagine
del programma dell’ Unione non regge più. ddivico@rcs.it

 

Di
Vico Dario

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3)
il Leader Epifani: ora il chiarimento I metalmeccanici non sono un
sindacato a parte

(13
settembre, 2007) Corriere della Sera

 

ROMA
– Ha votato contro il «solito» Giorgio Cremaschi. Con
lui, altri due. Tre su quattrocento, per stare alle cifre di
Guglielmo Epifani. Ma chi ha partecipato ai direttivi unitari di
Cgil, Cisl e Uil che hanno dato il via libera al referendum sul
protocollo del welfare, descrive un’ atmosfera surreale. Un’ ovazione
per Carla Cantone, applausi scroscianti per Raffaele Bonanni:
commozione e occhi lucidi quando il segretario della Cisl ha
ricordato Bruno Trentin. Ammette Epifani: «Sono stato molto
colpito dal clima di unità, autonomia e determinazione che si
respirava. Impressionante davvero». Soprattutto dopo le
coltellate del giorno prima. «Sarà stata anche la
reazione alle divisioni che si sono prodotte, alle lacerazioni. Ma ho
avvertito un grande bisogno di unità. E anche un richiamo alle
forze politiche per l’ autonomia del sindacato», dice il
segretario generale della Cgil. Che era stato il primo ad ammonire i
partiti della sinistra radicale, in piena fibrillazione dopo lo
strappo della Fiom, a proposito della manifestazione del 20 ottobre.
Per Epifani «il voto di oggi conferma questa riflessione. La
manifestazione è stata decisa prima del referendum. Nel
momento in cui la parola passa ai lavoratori e ai pensionati, è
chiaro che le cose non restano come prima. E va da sé che se
il referendum dovesse dare sostegno all’ accordo, qualsiasi
manifestazione contro finirebbe per essere contro l’ opinione di
lavoratori e pensionati. Di fronte a una scelta importante, che non
si faceva da dieci anni, non dico che sarebbe stata opportuna una
tregua, ma almeno rinviare le valutazioni a una fase successiva al
voto». Una riflessione che però, oltre alla sinistra
radicale, sembra avere come destinatario la Fiom di Gianni Rinaldini,
autore di uno strappo clamoroso e senza precedenti con il «no»
al protocollo sul welfare. «Avevo chiesto alla Fiom di
rispettare le indicazioni generali della scelta della Ggil, pur senza
rinunciare al profilo critico. Invece la Fiom ha preferito esprimere
un dissenso formale. E naturalmente questo apre un problema, siamo in
presenza di un fatto totalmente nuovo», argomenta Epifani.
Chiedendosi: «Perché la Fiom ha fatto questo? Perché
il giudizio dei metalmeccanici Cgil è tanto diverso non solo
rispetto a quello dell’ organizzazione nel suo complesso, ma anche a
quello dei nostri pensionati, dei tessili, degli edili, dei
braccianti, degli alimentaristi….?». Tuttavia è una
domanda per lui ancora senza una risposta. «Un accordo così
complesso non va valutato nella logica ristretta dei propri problemi
e della propria rappresentanza. Va fatto prevalere un giudizio
generale, e da questo punto di vista votare no ha una conseguenza
davvero paradossale. Perché significa dire no anche all’
aumento delle pensioni, dell’ indennità di disoccupazione,
della totalizzazione dei contributi per i lavoratori precari, alla
piena pensionabilità dei periodi di disoccupazione, no alla
salvaguardia dei lavori usuranti ed ad altro ancora. Per questo il
giudizio si doveva basare su una logica confederale. Se no si finisce
per corporativizzare tutto». Quanto poi al rapporto con la
sinistra radicale, alla spinta che la politica abbia potuto
esercitare sulle scelte della Fiom, Epifani non esclude «che ci
possa essere anche questo. Ma per una forza sindacale le scelte vanno
misurate sulle conseguenze sindacali, e non politiche, che possono
avere. Mentre la Fiom è impegnata in un rinnovo contrattuale
delicato, insieme a Fim e Uilm, una posizione che la divide dagli
altri certamente la indebolisce». E conseguenze ce ne saranno,
eccome. Dice il segretario della Cgil: «Ora siamo impegnati in
un referendum importantissimo. Per quattro settimane dovremo lavorare
lealmente per favorire la partecipazione al voto e alla fine si
valuterà. Poi, naturalmente, si aprirà una riflessione
su tutto. Anche sui comportamenti che ci sono stati e sui problemi
impliciti con la scelta della Fiom». Perché, continua
Epifani, «se una struttura vota contro un accordo approvato
dalla maggioranza si pone un problema molto serio. Il sindacato non
può che favorire il pluralismo. Ma mentre la diversità
di opinioni è fisiologica nelle diverse aree, una intera
struttura, una intera categoria non può stare in minoranza. In
questo modo si aprono fossati, si divide anziché unire. Questa
è la discussione, pacata e non burocratica, che bisognerà
fare». E quanti più consensi arriveranno dal referendum
alla linea del segretario, tanto più i rapporti di forza, in
quella discussione, saranno a suo favore. Diversamente, tutto
diventerebbe più complicato. Lascia intendere Epifani pur
senza dirlo esplicitamente, anche per la maggioranza e per lo stesso
governo di Romano Prodi (a cui la manifestazione del 20 ottobre, se
il referendum non andasse come spera il segretario della Cgil,
potrebbe assestare un colpo durissimo), alle prese con una
Finanziaria per certi versi più complicata di quella dello
scorso anno. Con il balletto delle cifre che è già
cominciato. «Il governo non commetta l’ errore dello scorso
anno», avverte Epifani. «Dia le cifre soltanto quando
sono state ben definite. E accanto alle cifre metta bene in chiaro
quali sono le priorità», aggiunge il segretario della
Cgil. Senza negare qualche timore: «Proprio partendo dalle
preoccupazioni sulle cifre abbiamo chiesto a Prodi di avere subito un
incontro per fare il punto sulla preparazione della Finanziaria.
Prima che tutti i giochi siano decisi. Ci aspettiamo una Finanziaria
equa, che punti allo sviluppo ma anche al welfare. Prima di tutto per
i giovani e gli anziani non autosufficienti. In secondo luogo bisogna
che ai lavoratori dipendenti e ai pensionati si dia anche una
risposta in termini di redistribuzione fiscale».

 

Rizzo
Sergio

4)
RETROSCENA Svolta movimentista delle tute blu La parola «scissione»
non fa paura

(12
settembre, 2007) Corriere della Sera

 

ROMA
– Lunedì pomeriggio, dopo che Gianni Rinaldini aveva
presentato il documento con il quale chiedeva alla Cgil di votare
contro il protocollo sul welfare, la frase è uscita dalla
bocca di Guglielmo Epifani come spinta da una forza liberatoria: «La
Fiom farà minoranza. O altro». Testuale. E non è
stato tanto quel «farà minoranza», quanto la
seconda parte, «o altro», a lasciare qualcuno
esterrefatto. Perché in quelle due parole, «o altro»,
si può leggere di tutto. Persino la presa d’ atto che il
Quarto sindacato, come la Fiom viene definita ormai da tempo per
sottolineare la sua «diversità» all’ interno della
Cgil, possa diventarlo anche formalmente. Nessuno ha mai osato
pronunciare quella parola, «scissione», a cui
probabilmente nessuno ha mai davvero pensato. Ma se non si arriverà
fino a quel punto, lo strappo lascerà comunque segni
indelebili. Nel sindacato i metalmeccanici sono sempre stati una cosa
a parte. Fin dai tempi della mitica Flm, organizzazione potentissima
che era in grado di condizionare le scelte dei sindacati confederali.
Esaurita quella esperienza unitaria, la Fiom ne ha ereditato i tratti
più radicali. Nei metalmeccanici della Cgil i riformisti (come
l’ attuale ministro del Lavoro Cesare Damiano) sono sempre stati in
minoranza. E il nodo dei rapporti fra le due componenti, nel tempo,
si è ingrossato. Finché non è venuto al pettine.
Per quanto il predecessore di Epifani, Sergio Cofferati, si sia
impegnato per venirne a capo, non c’ è mai riuscito. E adesso
la questione si è fatta davvero complicata, anche per quello
che sta accadendo fuori dal sindacato. La nascita del Partito
democratico, con la scissione dei Ds, ha favorito la formazione di un
blocco di sinistra radicale che dalla scorsa estate sta sperimentando
forme di coordinamento. Una iniezione di fiducia per i massimalisti
della Fiom che si vedevano sempre più ridotti, appunto, a
semplice «minoranza» del più grande sindacato
italiano. E che con quel blocco hanno invece iniziato un dialogo
sempre più stretto. Ricevendo e restituendo forza. È
vero che lo scorso anno la Fiom aderì alla manifestazione d’
autunno sul precariato da cui la Cgil si era dissociata e che invece
alla manifestazione del prossimo 20 ottobre contro il protocollo sul
welfare (indetta da Liberazione e dal Manifesto, quotidiano che fin
dall’ inizio della nuova direzione ha dimostrato grandi simpatie per
la linea della Fiom) i dirigenti dei metalmeccanici della Cgil hanno
aderito soltanto a titolo personale. Ma è anche vero che
questa volta il sindacato metalmeccanico ha bocciato un accordo
siglato dai vertici della Cgil con il governo. Ed è la prima
volta in sessant’ anni. Forse avendo già chiaro in mente lo
scenario che si sarebbe presentato dopo un paio di giorni, Epifani
aveva lanciato domenica scorsa alla Festa dell’ Unità di
Bologna un avvertimento preciso alla sinistra radicale: «Se il
referendum fra i lavoratori ci darà ragione, la manifestazione
del 20 ottobre sarà contro i lavoratori e contro il
sindacato». Una battuta che non poteva non essere diretta anche
ai dirigenti della Fiom, Rinaldini in testa, che a quella
manifestazione avevano comunque deciso di partecipare. Ma per quanto
il risultato a favore del «sì» appaia scontato,
proprio il referendum è il passaggio più delicato nella
resa dei conti fra Epifani e Rinaldini. Lo statuto della Cgil prevede
che non si possa fare campagna contro una decisione della
maggioranza. Inutile dire che ci sia una certa ansia per come nelle
fabbriche i delegati della Fiom, dopo essersi schierati per il «no»,
prepareranno la consultazione. E il risultato peserà più
di quanto si possa immaginare. Non a caso, il segretario della Cgil
continua a ripetere di augurarsi una partecipazione al voto pari
almeno a quella del referendum precedente. Incrociando le dita. * * *
A partire dal 2008 58 anni Nel 2008 i lavoratori dipendenti potranno
andare in pensione a 58 anni di età e con 35 di contributi
(rispetto ai 60 previsti dallo scalone Maroni). Resta ferma la
riduzione da quattro a due finestre per l’ uscita dal lavoro e la
necessità di aver maturato i requisiti da almeno sei mesi al
momento della finestra * * * Il costo in dieci anni 10 miliardi Il
costo previsto della riforma è di 10 miliardi in dieci anni
(7,1 per la revisione dello scalone e 2,9 per il fondo lavori
usuranti). Le fonti di copertura saranno trovate anche dalla
riorganizzazione degli enti di previdenza (3,5 miliardi) e dall’
aumento delle aliquote contributive per i lavoratori parasubordinati
* * * Il limite dei rinnovi 36 mesi Le modifiche alla legge Biagi
sono volte a scoraggiare l’ uso improprio del lavoro a tempo
parziale. Si comincia con i contratti a termine, prevedendo che dopo
36 mesi di lavoro, comprensivi di proroghe e rinnovi, ogni nuovo
contratto a termine sia siglato alla presenza dei sindacati

 

Rizzo
Sergio, Fregonara Gianna

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