Un testo per
districarsi in tutti i piccoli e grandi accadimenti che stanno
cambiando il volto teatrale della città di Milano.
"La precarietà nello
spettacolo, si sa, è come la ciliegina sulla torta: scontata. Ma
sta avvenendo una cosa nuova: la ciliegina è più grande della
torta!"
A dieci lavoratrici e lavoratori del
teatro La Scala non è stato confermato il contratto "stagionale".
In un’istituzione mastodontica come l’ente lirico meneghino, con
circa ottocento indeterminati e 400 precari in organico la cosa
potrebbe apparire di poco conto. Al contrario questo è un
accadimento gravissimo. Al Piccolo Teatro 47 maschere, precarie ma
organiche, hanno subito un processo di outsourcing, tanto in voga
negli ultimi anni.
Precarie
erano e precarie rimarranno nonostante la promessa di un’assunzione
in una cooperativa di servizi. La esternalizzazione evidentemente
mira al risparmio ma inaugura un modello che apre la strada ad
ulteriori saldi di fine stagione. E questo pesa come un macigno sul
futuro dei lavoratori.
La
gravità di questi due provvedimenti si riesce a comprendere solo con
uno sguardo d’insieme: la tempestività degli accadimenti, quasi
contemporanei, la pretesa valutazione di idoneità con cui si sono
giustificati, la genericità di questa valutazione, la
esternalizzazione di lavoratori già precari, ma soprattutto il
contesto sindacale in cui il tutto si svolge fanno capire il senso e
la prospettiva dell’idea che vi soggiace.
La vita è fatta a scale c’è
chi scende e c’è chi sale!
Al teatro Scala nel mese di Aprile è
stato firmato un accordo (slc-cgil, fiestel-cisl, uilcom-uil
cisal-fials, per la cronaca) detto dei 312 giorni. Orbene, questo
accordo è stato spacciato come un modo per uniformare la durata di
quei contratti a termine, detti stagionali, di diversa durata, con
cui la Scala sopperisce da sempre alle proprie mancanze d’organico.
Fra i lavoratori è stato spacciato come un accordo in cui alcuni
perdevano dei giorni di lavoro, altri ne guadagnavano, ma
complessivamente tutti conquistavano la grazia/garanzia di un
triennio lavorativo assicurato, invece del solito rinnovo annuale.
Ciò naturalmente nell’accordo non è contenuto. Anzi in esso è
chiaro che La Scala definisce le proprie esigenze occupazionali
(queste sì, per tre anni) ma introduce l’idoneità professionale: in
pratica un esamino previsto dal contratto nazionale ma che mai, a
memoria di precario, ha avuto applicazione. E non certo per
generosità dell’azienda Scala bensì in quanto un giudizio del
genere è intrinsecamente ambiguo e contestabile. Alleghiamo la
prova di ciò nella cartella stampa. Il giudizio non favorevole
presente nella lettera di commiato è assolutamente non giustificato.
E’ palesemente arbitrario.
"Il piccolo fa quel che
puole, il grande quel che vuole."
Inutile dire che la esternalizazione
delle 47 maschere rappresenta un artificio altrettanto diabolico.
Innanzitutto le Maschere sono già precarie. La loro colpa risiede
semplicemente nel fare riferimento direttamente al Piccolo Teatro.
L’escamotage, neanche troppo originale, della cooperativa che dovrà
assumerli è un gioco di prestigio volto a creare un’ulteriore
intermediazione nella gerarchia, col fine di aumentare il ricatto,
alleggerirsi l’anima, il tutto per risparmiare un pugno di euro
(40.000). Se la cosa funzionasse potrebbe addirittura essere estesa
ad altre mansioni.
Si
badi bene che in 60 anni al piccolo nessun tecnico è stato mai
assunto. Quindi questa non è l’eccezione: è l’esasperazione di una
brutta abitudine. Tra l’altro, sempre nella cartella stampa
troverete, la testimonianza di chi pur avendo vinto in tribunale la
causa d’assunzione è stata continuamente "rimbalzata";
come dicono i giovani.
"La morale è sempre
quella…."
Quindi potremmo dire che l’accordo
dei 312 in Scala, i dieci non rinnovati, i 47 esternalizzati
costituiscono la prova generale di un avanspettaccolo in cui il
protagonista "la precarietà" la fa da padrone. Si vuole
ritoccare pesantemente le regole della collaborazione inasprendo la
catena gerarchica oppure introducendo valutazioni arbitrarie ed
incontrollabile per aumentare il ricatto e quindi precarietà. Si
scorge quindi una precisa volontà politica, una svolta culturale nel
mondo dei teatri.
Reagire è non subire.
Ciò non accadrà. Un insieme
trasversale di lavoratori e lavoratrici si è unito per agire,
informare, comunicare e opporsi a queste volontà disgraziate. Queste
lavoratrici e lavoratori monitoreranno l’azione dei sindacati che
trattano le aziende teatrali con troppa accondiscendenza e reagiscono
a questi fatti in modo troppo blando e "incosciente" Lo
sciopero di oggi rischia di steccare se non ci sarà una vera
mobilitazione continua e forte che deve porsi come obiettivo ultimo
quello di invertire marea e di chiedere ciò che si dovrebbe e che
molti hanno paura a domandare: la conversione dei contratti
stagionali (undici mesi all’anno che stagionalità è?) in lavoro
stabile. Più che stagionali, dopo anni e anni di collaborazione, ci
sentiamo stagionati.
Lavoratori
e lavoratrici autorganizzati dello spettacolo.
www.lavoratoriscala.splinder.com
per
info 334 7141596 – autorganizzatidellospettacolo@inventati.org
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