GUANDONG – Mentre gli industriali chiedono la possibilità di precarizzare anche in Cina, dove i contratti a tempo determinato diventano obbligatoriamente inderminati dopo pochi mesi, i risultati della nuova legge sul lavoro, sotto il profilo delle lotte sociali, cominciano a dare i propri frutti.
PROTESTA – Nel sud del paese, nella regione di Guandong, 1500 operai
hanno scioperato. In precedenza l’ azienda, secondo alcuni lavoratori
che hanno lanciato un appello attraverso un sito web, aveva promesso
che avrebbe concesso agli operai i benefici previsti dalla nuova legge
sul lavoro, entrata in vigore in Cina all’inizio dell’anno. La legge
prevede inoltre che tutti i lavoratori abbiano un regolare contratto e
alza le quote che le imprese devono pagare per l’ assicurazione
sanitaria, la liquidazione e le pensioni dei dipendenti, oltre a
rendere problematici i licenziamenti. La polizia ha disperso i
contestatori che, al momento, ancora non sono tornati al lavoro.
MINACCIA – La minaccia di governo e aziende non è nuova: finisce che le
fabbriche trasferiranno le loro attività in Vietnam, dove sciopero e
diritti non contano niente.
Così, tra proteste dei monaci tibetani e continue proteste nelle zone
più industrializzate del paese, la Cina si ritrova un’altra patata
bollente: una legge sul lavoro fortemente contestata dalle aziende, con
il rischio di perdere produttività e capitali.
INDAGINI – L’ Associazione degli Industriali di Hong Kong, avrebbe
condotto un’indagine dalla quale è risultato che il 37% delle imprese
presenti in Cina hanno intenzione di trasferirsi. La situazione più
grave, secondo lo studio, è proprio quella del Guangdong, dove la
percentuale sale al 63%. Il fenomeno è meno accentuato, ma presente
anche in altre regioni industrializzate della Cina. Secondo la rivista
cinese Caijing (Finanza ed Economia), il 25% delle imprese sudcoreane
che presenti nella provincia dello Shandong, sulla costa orientale,
sono già «fuggite» dalla regione.
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