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Il 24 maggio 2007 è stato reso noto l’indagine annuale sulla povertà da parte dell’Istat relativo all’anno 2005.
I dati sono eclatanti. Li riassumiamo brevemente.
Nel 2005 quasi una famiglia su sei (il 14,7%) ha dichiarato di arrivare alla fine del mese con molta difficoltà, mentre quasi una su 3 (il 28,9%) non è riuscita a far fronte a una spesa imprevista anche se di importo inferiore a 600 euro.
Le famiglie con spesa per consumi inferiore alla soglia di povertà, cioè povere in termini relativi, sono 2 milioni 585 mila (l’11,1% delle famiglie residenti) per un totale di poco più di 7 milioni e mezzo di persone (il 13,1%).
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editoriale del Corriere della Sera – 18 giugno 2007 –
Il lavoro precario è fermo dal 2001 Le leggende sulla Biagi di Pietro Ichino
Le modifiche alla legge Biagi annunciate dal ministro del Lavoro sono quelle indicate fin dall’ anno scorso nel programma elettorale dell’Unione come necessarie per la lotta contro il lavoro precario: abolizione del lavoro a chiamata, o job on call, e dello staff leasing. Il ministro però farebbe bene a rispondere in modo preciso e pertinente alle obiezioni che da più parti, e anche dall’interno dello schieramento di centro-sinistra, sono state mosse contro questo punto del programma.
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dal Corriere della Sera – 14/06/07 –
Caro Direttore, dalla scadenza del contratto dei giornalisti sono passati 837 giorni, e non pochi altri ne passeranno, se gli editori continueranno a rifiutarsi di sedere al tavolo. Ma i problemi non vengono mai da soli; e così ci tocca pure la bacchettata che ci rifila il professor Ichino, dalla prima pagina del Corriere
Sbagliano i sindacati, dunque sbaglia anche la Federazione della Stampa, quando parlano di un «diritto dei lavoratori al contratto». Questo diritto «non esiste proprio, ed è bene che non esista», argomenta l’editoriale, perché «se accordarsi fosse obbligatorio, avremmo un regime di cogestione». Non abbiamo certo le competenze del professor Ichino in materia di diritto del lavoro. Però non sono soltanto i sindacati a pensarla diversamente da lui. Ricordiamo le parole pronunciate in questi mesi dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha sottolineato ripetutamente «il diritto primario dei giornalisti ad un contratto di lavoro regolarmente rinnovato». Concetti simili hanno espresso i Presidenti del Senato e della Camera. Nelle loro affermazioni abbiamo colto un riconoscimento del valore del lavoro – giornalistico e no – che poco traspare dalle tesi di Ichino.
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dal Corriere della Sera – 13 giungo 2007-
editoriale:
Relazioni industriali, il sistema non funziona più IL CONTRATTO IMPOSSIBILE
di PIETRO ICHINO
Che cosa sta accadendo al nostro sistema di relazioni sindacali? Da anni ormai i contratti collettivi nazionali di lavoro per la maggior parte si rinnovano con gravi difficoltà e in pesante ritardo o non si riescono a rinnovare affatto. Il più noto è quello dei giornalisti, che è scaduto da due anni e per il quale sono risultate inutili 15 giornate di sciopero; ma parliamo anche di quasi tutti i contratti del trasporto pubblico (i cui scioperi, con immancabile cadenza mensile, gravano pesantemente sull’intera economia del Paese), del settore statale e di numerose grandi categorie industriali e del terziario.
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dal Il Manifesto 3 giugno 2007
La recente riforma per il reclutamento dei ricercatori è un ulteriore segnale della crisi degli atenei italiani. Da qui la necessità di un movimento che si riappropri dell’università e salvaguardi l’unità della conoscenza di
Franco Piperno
Qualche settimana fa, in base ai poteri conferitigli, quasi di sfuggita, da un codicillo annegato nell’ultima legge finanziaria, il ministro Fabio Mussi ha decretato l’ennesima riforma della università. Si tratta del quarto intervento legislativo di «innovazione» della struttura universitaria italiana in meno di dieci anni: un primato senza precedenti non solo rispetto a quel che accade nel mondo contemporaneo, ma soprattutto se rapportato alla storia millenaria dell’Università come pubblica istituzione. Un primato che ha qualcosa di grottesco, se si pensa all’«inerzia» insita nella trasmissione dei saperi. Gli effetti sulla formazione culturale delle modifiche nell’organizzazione degli studi richiedono infatti, per rivelarsi, almeno quattro o cinque generazioni di studenti (grosso modo un trentennio). Dunque, se si procede a una nuova riforma ogni due anni e mezzo, l’innovazione procede alla cieca, senza alcun riscontro con l’esperienza.
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