Una piccola introduzione. Questa proposta poggia su alcuni principi che reputiamo centrali che sono stati discussi abbastanza approfonditamente nell’incontro precedente: l’affermazione del diritto alla scelta del lavoro per ribaltare i costi della precarietà sulle aziende, la costituzione di una cassa sociale per il reddito e una cassa sociale dei servizi  per garantire un reddito diretto e indiretto, entrambe gestite con un bilancio separato, un salario minino orario per evitare il dumping salariale ed infine la semplificazione del panorama contrattuale nostrano. Crediamo fermamente che le sacrosante lotte che si stanno sviluppando in modo sempre più diffuso debbano darsi un’orrizzonte che sappia coinvolgere quelle realtà precarie che, vuoi per un gap culturale (mancanza di riferimenti) vuoi perchè impossibilitate dalla mancanza di qualsivoglia tutela, non riescono a prendere parola. Una battaglia sul reddito, declinato come welfare metropolitano è quindi un momento ricompositivo e strategico che merita una riflessione a sè e che non vuole sotituire o contrapporsi alle reti e ai coordinamenti che già si muovono nella crisi. Infine precisiamo che l’articolazione che troverete nel testo che segue dei principi sopra accennati è un ulteriore proposta che ha soprattutto lo scopo di alimentare il confronto.
Sommario
 1. Premesse
 2. Garanzia di reddito e accesso ai servizi primari e  alla socialità
 3. Salario orario minimo e riduzione forme  contrattuali
 Parole chiave: precarietà, flessibilità, reddito di  base
1. Premesse
 Noi vogliamo essere flessibili senza dover subire la  precarietà. In altri termini vogliamo ribadire la supremazia del “diritto  alla scelta del lavoro” sul semplice “diritto al lavoro” (qualunque esso  sia).
Dopo quasi trent’anni di propaganda neoliberista a favore del concetto di flessibilità, inganno semantico che cela realtà di precarietà sempre più generalizzata e capillare in tutta Europa, è necessario indicare un traguardo di autotutela sociale. Si tratta di fornire una risposta radicale agli ammortizzatori sociali, vere e proprie elemosine di non-diritti proposte da buona parte del centro-sinistra.
Gli  ammortizzatori sono pallidi palliativi per tenere sotto controllo  le  conseguenze nefaste della precarietà esplosa dopo il pacchetto Treu,  che ha  innescato il processo di sostituzione di contratti tipici con contratti  atipici e precari, e cristallizzata dalla legge 30 (Biagi). 
 L’effetto  della legge Treu era stato di estendere le possibilità di lavoro precario  in modo quantitativo mentre la Legge 30 ha lo scopo di consolidare  i  guadagni che le imprese traggono dalla precarietà e garantire  il peggio  possibile a chi è da poco entrato o si appresta a entrare nel mercato del  lavoro.
In questa breve nota vengono descritte alcune misure concrete  per la garanzia di reddito e per l’accesso ai servizi primari della  socialità, con indicazioni relative alle forme del loro finanziamento.  
 Inoltre, viene avanzata la proposta di introduzione di un salario orario  minimo e di riduzione delle forme contrattuali oggi previste per i rapporti  di lavoro.  Infine, viene inclusa una bozza di proposta di legge regionale  per l’introduzione di un reddito di base generalizzato.
2. Garanzia di  reddito e accesso ai servizi primari e alla socialità
 Il primo obiettivo è  quello di garantire la continuità di reddito, in modo generalizzato e  incondizionato: un reddito corrisposto a:
* chiunque perda il lavoro per  risoluzione di contratto, licenziamento,
 cessazione di missione interinale,  cessazione di progetto parasubordinato
* chiunque si trovi ad affrontare la  cessazione del flusso di reddito associata a
 un’attività lavorativa di  qualunque tipo, in particolare free-lance
* chiunque pur avendo anche  condizioni dui stabilità di lavoro, percepisca un
 redditoinferiore ad una  soglia che consenta di godere una vita piena e dignitosa.
A tal fine proponiamo di costituire una Cassa Sociale per il Reddito di Base per finanziare il rischio di disoccupazione, infortunio, malattia, maternità, eccetrera.
Tale cassa è adibita anche all’erogazione 
 1 – di  un’Indennità di accesso universale alla maternità, per garantire il diritto  alla
 maternità consapevole 
 2 – di un’Indennità speciale ai  disoccupati espulsi dal lavoro “garantito”. 
 Quest’ultima indennità è  costituita da una parte pecuniaria in aggiunta all’eventuale reddito  derivante da mobilità o continuità e da una parte di formazione permanente da  svolgersi in
 università e centri pubblici come presso associazioni e spazi  sociali a scelta del disoccupato.
In tema di accesso ai servizi primari e alla socialità, si propone la costituzione di una Cassa municipale per i servizi sociali, il cui compito è fornire una carta di servizi che consenta:
* accesso sussidiato per i precari a casa, media, trasporti,  cultura, formazione, 
 sia in termini di accesso a spazi e strutture sia in  termini di tariffe gratuite o scontate. In particolare, un sussidio  sull’affitto che copra la parte di canone in eccesso al 50% del reddito  percepito.
* l’istituzione di contributi a fondo perduto erogati a gruppi e associazioni formali e informali di giovani che abbiano natura di solidarietà sociale, tutela ambientale e innovazione culturale.
Per  quanto riguarda il finanziamento
* la Cassa Sociale per il  reddito
 dovrebbe essere alimentata da contributi a carico dei datori di  lavoro (imprese) e delle agenzie di intermediazioni manodopera, dei compensi  di precari e parasubordinati (in percentuale inferiore al 10%) e, nella  parte residuale, dalla fiscalità generale
* la Cassa municipale per i  servizi sociali è finanziata  esclusivamente dalla fiscalità regionale e  municipale e sulla base dei finanziamenti centrali: in altre parole, si  tratta di ragionare e fare proposte riguardo all’introduzione e ridefinizione  delle imposte su plusvalenze immobiliari, entrate cedolari, dividendi  azionari, patrimoni familiari, tassa di successione. Ad esse si  dovrebbero aggiungere imposizioni relative all’uso del territorio (tasse  di localizzazione e di
 fabbricato, ad esempio, per i centri commerciali, e  altre attività produttive che lucrano profitti sulla base del loro  posizionamento territoriale).
Più in particolare si potrebbe ragionare sui seguenti punti specifici:
* introduzione di progressività nell’ICI a seconda della destinazione d’uso dell’immobile;
* introduzione di un addizionali Ire basata su due scaglioni, comunque non superiore al 5%;
* introduzione  di una tassa indiretta (I.v.a.) sull’intermediazione di lavoro a carico della  società interinale (5%) e dell’impresa committente
 (5%), calcolata sul valore  lordo della prestazione lavorativa in oggetto;
* introduzione e riforma di una tassa di localizzazione per le attività produttive (modello Irap) che sfruttano posizione territoriali vantaggiose, destinate all’attività di consumo, magazzinaggio, turismo e svago..
* addizionale speciale Ire sulle attività finanziario-creditizie-assicurative che operano nel comune.
3. Salario orario minimo e riduzione forme  contrattuali. Proponiamo inoltre l’istituzione di un Salario Minimo di almeno  10 euro lordi l’ora con forti maggiorazioni per le ore supplementari  e straordinarie, forte limitazione del lavoro festivo nel commercio,  nella prospettiva di un Salario Minimo Europeo al di sotto del quale  gli standard sociali dell’Europa non possano cadere. Tale Salario minimo è  applicato per tutte le prestazioni lavorative non contrattualizzate e a  tutti i contratti precari, per i quali non esiste a livello contrattuale, la  definizione di uno stipendio/salario mensile
 continuativo.
Facciamo degli esempi: un lavoratore occasionale (migrante o indigeno che sia), stage, interinale, apprendista a termine, stagionale, viene pagato a ore con una cifra che non può per legge essere inferiore ai 10 euro lordi all’ora, a prescindere dall’attività lavorativa svolta. Può, ovviamente essere superiore. Chi ha un contratto continuativo (a tempo pieno o a tempo ridotto) percepisce un salario mensile (non orario) che viene contrattualizzato sulla base degli accordi sindacali esistenti.
In  tema di diritto del lavoro, infine, oggi sono sono più di 35  le tipologie contrattuali esistenti. Da dieci anni a questa parte è  cresciuta una giungla di norme giuslavoriste, continuamente aggirate e/o  piegate, creando un vero e proprio apartheid del lavoro che ha  polverizzato la rappresentazione collettiva della forza lavoro nell’interesse  di aziende tanto fameliche e
 antisociali quanto strategicamente incapaci. Il  divide et impera del neoliberismo (oggi in crisi ideologicamente, ma non per  questo non ancora debellato nella pratica) si fonda su mercati del lavoro  marcatamente duali, divisi tra coloro che vengono definiti “garantiti” e  coloro che non
 vengono definiti tali. L’Italia è il paese che presenta il  numero più elevato di contratti di lavoro e di buste-paga  inintelligibili.
E’ quindi “ragionevole” proporre una riduzione massiccia delle tipologie contrattuali. Una semplificazione in questo senso sarebbe una conquista importantissima. Altresì siamo convinti che il senso (la direzione) di questa semplificazione possa essere chiarito solo dal carattere e dalla forza dei conflitti. I contratti a tempo determinato e indeterminato, nella forma piena o part time più un’unica formulazione di lavoro flessibile ci sembrano in prima approssimazione un orizzonte plausibile


















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