Venerdì 18 febbraio 2011, ore 18.35: noi siamo in una decina col gonfalone di San Precario, per il resto la Biblioteca Ambrosiana è deserta. Il Fuori Bit ideato dall’amministratore delegato di Fiera Spa, Pazzali, è roba per pochi ma buoni si direbbe, a giudicare dai macchinoni: solo dirigenti e tour operator, insomma chi fa girare i danè.“State disturbando” mi avverte la biondissima PR. “Ma non controllate a chi date le sale voi della Ambrosiana?” gli si chiede. “Sai quanti precari han lavorato al Bit gratis?”.
Al sentir “precario”, termine non previsto nei comunicati stampa cui è abituata, sbianca e si ritira dietro il cancello. Intanto arrivano i dirigenti del Comune di Milano e gli autisti comunali (ex operai) leggono il volantino: da quanto non vedevano una scintilla di contestazione…
Poi arriva un gruppo di facoltosi turisti francesi, i giornalisti delle specializzate e altro sotto-vip vario. Quel che manca è la gente, nel senso comune del termine. Per nulla strano visto che il numero da chiamare per prenotare la cena/buffet organizzata dall’Ente Turismo Francese suona a vuoto da due giorni. Alla faccia del fuori Bit aperto alla Milano. “Contestiamo il modello di economia-evento che state sperimentando per Expo 2015”, gridiamo al megafono. “L’ente turistico francese sfrutta da anni il lavoro di decine di precari a 150 euro al mese, non gli insegna nulla, li lascia a casa in malo modo e li fa lavorare fianco a fianco a stagisti francesi pagati 400 euro al mese.” “Piuttosto che magnificare il fuori Bit si prega la stampa di informare sugli 85 lavoratori messi in cassa integrazione da Fiera Milano, sugli standisti in nero che rischiano la vita nei padiglioni di Rho”. Due o tre giornaliste chic ma radical quanto basta, mostrano il massimo che ci si può aspettare dalla sinistra milanese over 50. “Poverini” ci dice, “la vostra protesta è giusta”.
Volantiniamo circa 80 comunicati, si parla al megafono in italiano ed in francese e a sentir storpiare la lingua madre subito accorre la giovane stagista transalpina, si saprà poi amica del direttore taglia teste. “Qui gli stagisti sono tutti contenti”, ci dice. Tanto contenti che l’ufficio stampa italiano dell’ente inizia a chiamare concitatamente qualcuno e all’angolo spunta un non meglio identificato fotoreporter a scattare foto dei presenti, e soprattutto il capo dell’ente che avvicina le stagiste, spiega che in Francia lo stage ha motivazioni di tipo formativo e culturale, di non prendersela tanto. Ormai è screditato davanti a tutti. Le italiane lo guardano di traverso quando lui si affanna a chiedere come si sono sentite durante lo stage. Qualcuno più in alto di lui deve averlo cazziato e il suo appuntamento è andato andato in fumo. Il megafono soprattutto in francese ha lasciato il segno.
Certo le ragazze sotto i 24 anni al primo stage non se la sentono di aprire la carriera con una causa, anche se sanno che le aspetta un nuovo stage, con le medesime modalità. Il loro disagio è culturale: come contestare quello che gli hanno inculcato in anni di università/media/prof/compagni di corso? Ma allora ci hanno raccontato balle, pensano ora che hanno toccato la realtà con mano e hanno scoperto che la gavetta è come la favola di babbo Natale e il passo successivo è un’incognita. La lezione di San Precario è stata veloce quanto esemplare: basta davvero poco per mettere in crisi la falsità che sta dietro a appalti/scelte/ricatti. Ma questa consapevolezza verrà usata per tentare di farsi assumere con tutti i mezzi possibili nel prossimo stage oppure per seminare zizzania alla prima occasione giusta? Per seminare l’idea che, cospirando, si può andare oltre il ricatto?
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